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Quam ob rem id primum videamus, si placet, quatenus amor in amicitia progredi debeat. Numne, si Coriolanus habuit amicos, ferre contra patriam arma illi cum Coriolano debuerunt? num Vecellinum amici regnum adpetentem, num Maelium debuerunt iuvare? | Perciò, se siete d'accordo, vediamo innanzi tutto fino a che punto deve spingersi l'amore per un amico. Gli amici di Coriolano, se mai ne ebbe, avrebbero dovuto impugnare le armi contro la patria insieme a lui? E quando Vecellino e Melio aspiravano alla tirannide, gli amici avrebbero dovuto seguirli? |
Atque hoc loco philosophi quidam minime mali illi quidem, sed non satis acuti, fictam et commenticiam fabulam prolatam dicunt a Platone, quasi vero ille aut factum id esse aut fieri potuisse defendat. Haec est vis huius anuli et huius exempli: si nemo sciturus, nemo ne suspicaturus quidem sit, cum aliquid divitiarum, potentiae, dominationis, libidinis causa feceris, si id diis hominibusque futurum sit semper ignotum, sisne facturus? Negant id fieri posse.Quamquam potest id quidem, sed quaero, quod negant posse, id si posset, quidnam facerent. Urgent rustice sane. Negant enim posse et in eo perstant, hoc verbum quid valeat non vident. Cum enim quaerimus, si celare possint, quid facturi sint, non quaerimus, possintne celare, sed tamquam tormenta quaedam adhibemus, ut si responderint se impunitate proposita facturos, quod expediat, facinorosos se esse fateantur, si negent, omnia turpia per se ipsa fugienda esse concedant. Sed iam ad propositum revertamur. | A questo proposito taluni filosofi, niente affatto mediocri, ma non abbastanza acuti, affermano che Platone ha riferito un aneddoto falso ed immaginario, quasi che egli sostenesse che ciò fosse avvenuto o potrebbe essere avvenuto. Ecco il significato di questo anello e di questo esempio: se nessuno dovesse venire a saperlo e non dovesse neppure sospettarlo, tu, compiendo qualche azione per desiderio di ricchezza, di potenza, di dominio, di piacere, lo faresti, se ciò fosse destinato a rimanere ignoto per sempre agli dei e agli uomini? Negano questa possibilità. Non è assolutamente possibile, ma io domando che cosa farebbero se fosse possibile ciò che essi dicono impossibile. Insistono in una maniera veramente da zotici; dicono, infatti, che non è possibile, rimangono su questa posizione e non scorgono il significato di queste mie parole. Quando domandiamo, che cosa farebbero se lo potessero celare, non domandiamo se possano celarlo, ma adoperiamo nei loro confronti - per così dire - degli strumenti di tortura, perché, se rispondessero che, sotto assicurazione d'impunità, farebbero quanto loro conviene, ammettano implicitamente d'essere dei malfattori, se invece lo negassero, ammettano che tutte le azioni turpi debbono essere evitate di per se stesse. Ma ritorniamo, ormai, all'argomento. |
Hanc naturae tam diligentem fabricam imitata est hominum verecundia. Quae enim natura occultavit, eadem omnes, qui sana mente sunt, removent ab oculis ipsique necessitati dant operam ut quam occultissime pareant; quarumque partium corporis usus sunt necessarii, eas neque partes neque earum usus suis nominibus appellant, quodque facere turpe non est, modo occulte, id dicere obscenum est. Itaque nec actio rerum illarum aperta petulantia vacat nec orationis obscenitas. | Il pudore dell'uomo imitò questa così diligente costruzione della natura. Quelle parti che la natura nascose, tutti gli uomini sani di mente le sottraggono alla vista, cercando di soddisfare le necessità naturali nel modo più occulto possibile; e quanto a quelle parti del corpo che servono a certe necessarie funzioni, noi non chiamiamo col loro nome né quelle parti né le funzioni loro: in generale, ciò che non è brutto a farsi, purché si faccia in segreto, è osceno a dirsi. Pertanto, se il fare quelle cose apertamente è indizio di spudoratezza, non è certo indizio di pudore il parlarne senza ritegno. |
Is L. Crasso Q. Scaevola consulibus primum in foro dixit et apud hos ipsos quidem consules, et cum eorum qui adfuerunt tum ipsorum consulum, qui omnibus intellegentia anteibant, iudicio discessit probatus. undeviginti annos natus erat eo tempore, est autem L. Paullo C. Marcello consulibus mortuus: ex quo videmus eum in patronorum numero annos quattuor et quadraginta fuisse. hoc de oratore paulo post plura dicemus; hoc autem loco voluimus <eius> aetatem in disparem oratorum aetatem includere.quamquam id quidem omnibus usu venire necesse fuit, quibus paulo longior vita contigit, ut et cum multo maioribus natu, quam essent ipsi, et cum aliquanto minoribus compararentur. ut Accius isdem aedilibus ait se et Pacuvium docuisse fabulam, quom ille octoginta, ipse triginta annos natus esset. | Egli parlò per la prima volta nel foro sotto il consolato di Lucio Crasso e di Quinto Scevola, e in presenza di questi stessi consoli; e ne uscì con i migliori apprezzamenti, a giudizio sia degli astanti, sia degli stessi consoli, che sopravanzavano tutti per competenza. Allora aveva diciannove anni, ed è morto sotto il consolato di Lucio Paullo e di Gaio Marcello; da ciò vediamo che egli fu per quarantaquattro anni nel novero degli avvocati. Di questo oratore dirò di più tra un po'; a questo punto, ho voluto collocare la sua vita tra generazioni diverse di oratori. Del resto, a tutti coloro ai quali tocca una vita di una certa lunghezza capita necessariamente di doversi confrontare con uomini molto più anziani e con uomini alquanto più giovani di loro. Accio asserisce che sia lui sia Pacuvio misero in scena una tragedia sotto gli stessi edili, quando quello aveva ottant'anni, ed egli ne aveva trenta. |
Sed cum duplex ratio sit orationis, quarum in altera sermo sit, in altera contentio, non est id quidem dubium, quin contentio [orationis] maiorem vim habeat ad gloriam (ea est enim, quam eloquentiam dicimus); sed tamen difficile dictu est, quantopere conciliet animos comitas adfabilitasque sermonis. Extant epistolae et Philippi ad Alexandrum et Antipatri ad Cassandrum et Antigoni ad Philippum filium, trium prudentissimorum (sic enim accepimus); quibus praecipiunt, ut oratione benigna multitudinis animos ad benivolentiam alliciant militesque blande appellando [sermone] deleniant.Quae autem in multitudine cum contentione habetur oratio, ea saepe universam excitat [gloriam]; magna est enim admiratio copiose sapienterque dicentis; quem qui audiunt, intellegere etiam et sapere plus quam ceteros arbitrantur. Si vero inest in oratione mixta modestia gravitas nihil admirabilius fieri potest, eoque magis, si ea sunt in adulescente. | Essendo due le specie di discorsi, di cui l'uno è familiare, l'altro oratorio, non vi è dubbio che il discorso oratorio abbia maggiore efficacia nel procurar la gloria (è quello che chiamo eloquenza); ma è difficile a dirsi quanto la cordialità e l'affabilità del parlare concilino gli animi. Esistono delle lettere di Filippo ad Alessandro, di Antipatro a Cassandro e di Antigono al figlio Filippo, tutti e tre uomini assai avveduti (tale, infatti, è la tradizione); in esse consigliano di guadagnare alla benevolenza gli animi della folla con un parlare affabile e di ammansire i soldati con un parlare lusinghiero. Quei discorsi solenni che si pronunziano davanti al popolo suscitano spesso la gloria di tutti. È grande, infatti, l'ammirazione per chi parla con facondia e sapienza, e coloro che l'ascoltano lo credono più intelligente e sapiente degli altri. Se vi è nell'orazione una certa gravità mista a moderazione, non vi può esser nulla di più ammirevole, e tanto più se quelle qualità si riscontrano in un giovane. |
Fides autem ut habeatur duabus rebus effici potest, si existimabimur adepti coniunctam cum iustitia prudentiam. Nam et iis fidem habemus, quos plus intellegere quam nos arbitramur quosque et futura prospicere credimus et cum res agatur in discrimenque ventum sit, expedire rem et consilium ex tempore capere posse; hanc enim utilem homines existimant veramque prudentiam. Iustis autem et fidis hominibus, id est bonis viris, ita fides habetur, ut nulla sit in iis fraudis iniuriaeque suspicio.Itaque his salutem nostram, his fortunas, his liberos rectissime committi arbitramur. | Due qualità possono far sì che si abbia fiducia: l'esser stimati in possesso della saggezza congiunta con la giustizia. Infatti abbiamo fiducia in quelli che riteniamo più perspicaci di noi e crediamo capaci di prevedere il futuro e di risolvere una situazione, quando essa si verifichi e si sia giunti ad un momento critico, e di poter prendere una decisione in base alle circostanze. Questa, secondo gli uomini, è la vera ed utile saggezza. In verità negli uomini giusti [e leali], cioè nei galantuomini, si ripone tanta fiducia da non nutrire nei loro confronti nemmeno il sospetto di frode e di offesa. Perciò pensiamo di poter affidare con tutta sicurezza a questi la nostra salvezza, i nostri beni ed i nostri figli. |
Cicero Attico sal.Terentia tibi et saepe et maximas agit gratias. Id est mihi gratissimum. Ego vivo miserrimus et maximo dolore conficior. Ad te quid scribam nescio. Si enim es Romae, iam me adsequi non potes; sin es in via, cum eris me adsecutus, coram agemus quae erunt agenda. Tantum te oro ut, quoniam me ipsum semper amasti, ut eodem amore sis; ego enim idem sum. Inimici mei mea mihi, non me ipsum ademerunt. Cura ut valeas. Data IV Idus April.Thuri. | Cicerone saluta Attico.Terenzia ti ringrazia spesso e massimamente. Ciò mi è molto gradito. Io vivo assai infelicemente e sono abbattuto da massimo dolore. Non so che cosa scriverti. Se infatti sei a Roma, ormai non puoi raggiungermi; ma se sei in viaggio, quando mi raggiungerai, esamineremo insieme quel che si dovrà fare. A tal punto ti prego, poiché proprio a me hai sempre voluto bene, di avere lo stesso affetto; io infatti sono lo stesso. I miei nemici mi hanno tolto le mie cose, non me stesso. Cerca di star bene. Consegnata il 10 aprile a Turi. |
Quid de utilitate loquar stercorandi? Dixi in eo libro, quem de rebus rusticis scripsi; de qua doctus Hesiodus ne verbum quidem fecit, cum de cultura agri scriberet. At Honerus, qui multis, ut mihi videtur, ante saeculis fuit, Laeten lenientem desiderium, quod capiebat e filio, colentem agrum et eum stercorantem facit. Nec vero segetibus solum et pratis et vineis et arbustis res rusticae laetae sunt, sed hortis etiam et pomariis, tum pecudum pastu, apium examinibus, florum omnium varietate.Nec consitiones modo delectant sed etiam insitiones, quibus nihil invenit agri cultura sollertius. | Ne ho parlato nel libro che ho scritto sull'agricoltura; il dotto Esiodo non ne ha fatto parola scrivendo sulla coltivazione dei campi, ma Omero, vissuto, credo, molte generazioni prima, rappresenta Laerte intento a coltivare e concimare il suo campo per tentare di lenire il dolore dovuto alla mancanza del figlio. La campagna, del resto, non solo è rigogliosa di messi, prati, vigneti e alberi, ma anche di giardini, frutteti, pascoli per il bestiame, sciami di api e ogni varietà di fiori. E al piacere di piantare si aggiunge quello di innestare, l'invenzione più ingegnosa dell'agricoltura. |
Quaecumque igitur homines homini tribuunt ad eum augendum atque honestandum, aut benivolentiae gratia faciunt, cum aliqua de causa quempiam diligunt, aut honoris, si cuius virtutem suspiciunt quemque dignum fortuna quam amplissima putant, aut cui fidem habent et bene rebus suis consulere arbitrantur, aut cuius opes metuunt, aut contra, a quibus aliquid exspectant, ut cum reges popularesve homines largitiones aliquas proponunt, aut postremo pretio ac mercede ducuntur, quae sordidissima est illa quidem ratio et inquinatissima et iis, qui ea tenentur, et illis, qui ad eam confugere conantur. | Qualsiasi servigio l'uomo presti all'uomo per aumentarne il prestigio e la dignità, o è reso per benevolenza amandosi qualcuno per qualche motivo, o a fine di onore, allorché si osserva il valore di qualcuno e lo si ritiene degno della miglior fortuna possibile; oppure lo si fa a qualcuno in cui si ha fiducia, e cosi si crede di ben provvedere ai propri interessi, o a qualcuno la cui potenza incute timore, o, invece, a qualcuno da cui ci si aspetta qualche favore (come quando i re e i demagoghi promettono qualche elargizione), o, da ultimo, l'uomo può essere attratto dal lucro e dalla mercede, motivo, invero, quanto mai vergognoso ed abietto sia per chi si faccia prendere da esso, sia per chi tenti di ricorrervi. |
Post hanc aetatem aliquot annis, ut ex Attici monumentis potest perspici, Themistocles fuit, quem constat cum prudentia tum etiam eloquentia praestitisse; post Pericles, qui cum floreret omni genere virtutis, hac tamen fuit laude clarissumus. Cleonem etiam temporibus illis turbulentum illum quidem civem, sed tamen eloquentem constat fuisse. | Diversi anni dopo quest'epoca, come si può vedere dal repertorio di Attico," visse Temistocle, del quale si sa che si distinse sia per acume politico sia per eloquenza; e poi Pericle," il quale, sebbene fiorisse di qualità di ogni genere, fu tuttavia particolarmente eccellente per questo pregio. Sappiamo che a quei tempi anche Cleonel' fu, sì, un cittadino facinoroso, ma tuttavia eloquente. |
Etenim si illud vere conectitur: 'Si oriente Canicula natus es, in mari non moriere', primumque quod est in conexo, 'Natus es oriente Canicula', necessarium est (omnia enim vera in praeteritis necessaria sunt, ut Chrysippo placet dissentienti a magistro Cleanthe, quia sunt inmutabilia nec in falsum e vero praeterita possunt convertere)--si igitur, quod primum in conexo est, necessarium est, fit etiam, quod consequitur, necessarium. Quamquam hoc Chrysippo non videtur valere in omnibus; sed tamen, si naturalis est causa, cur in mari Fabius non moriatur, in mari Fabius mori non potest. | Dunque, se si deduce correttamente: "Se sei nato al sorgere della Canicola, non morirai in mare", il primo termine della relazione - "sei nato al sorgere della Canicola" - è necessario (tutto quanto risulta vero nel passato è infatti anche necessario, come ammette Crisippo in dissenso con il maestro Cleante, poiché il passato è immutabile né può convertirsi da vero in falso); se, insomma, il primo termine è necessario, anche la conseguenza risulta necessaria. Crisippo, tuttavia, non sembra ritenere valida tale argomentazione in tutti i casi. Comunque, se c'è una causa naturale per cui Fabio non debba morire in mare, non è possibile che Fabio muoia in mare. |
Sed iis qui habent a natura adiumenta rerum gerendarum, abiecta omni cunctatione adipiscendi magistratus et gerenda res publica est; nec enim aliter aut regi civitas aut declarari animi magnitudo potest. Capessentibus autem rem publicam nihilominus quam philosophis, haud scio an magis etiam, et magnificentia et despicientia adhibenda est rerum humanarum, quam saepe dico, et tranquillitas animi atque securitas, si quidem nec anxii futuri sunt et cum gravitate constantiaque victuri. | Quelli, però, a cui natura elargì attitudini e mezzi per governare, devono, senz'alcuna esitazione, cercare di ottenere le magistrature e partecipare al governo: non c'è altro modo perché lo Stato si regga e la grandezza d'animo si manifesti. D'altra parte, quelli che vogliono entrare nella vita pubblica, devono, non meno, anzi forse più dei filosofi, armarsi di fortezza e di disprezzo dei beni esteriori come vado dicendo da tempo, e anche di tranquilla serenità d'animo, se pur vogliono vivere, non già in affannosa inquietudine, ma con dignitosa fermezza. |
Quintus:Quam brevi frater in conspectu posita est a te omnium magistratuum discriptio, sed ea paene nostrae civitatis, etsi a te paulum adlatum est novi.Marcus:Rectissime Quinte animadvertis. Haec est enim quam Scipio laudat in <illis> libris et quam maxime probat temperationem rei publicae, quae effici non potuisset nisi tali discriptione magistratuum. Nam sic habetote, magistratibus iisque qui praesint contineri rem publicam, et ex eorum conpositione quod cuiusque rei publicae genus sit intellegi.Quae res cum sapientissime moderatissimeque constituta esset a maioribus nostris, nihil habui sane <aut> non multum quod putarem novandum in legibus. | Quinto:In forma molto succinta, fratello, ci è stata posta sotto gli occhi la distribuzione di tutti i magistrati, ma essa è quasi quella della nostra città, anche se da te è stato aggiunto poco di nuovo.Marco:Hai fatto una osservazione molto giusta, Quinto; questo infatti è quel moderato ordinamento dello Stato, che Scipione loda e soprattutto approva in quei libri famosi, né esso si potrebbe ottenere senza tale distinzione di magistrati. Infatti è bene tener presente che lo Stato è tenuto insieme dalle magistrature e da coloro che le presiedono, e che dal loro ordinamento si può capire quale sia la qualità di ogni Stato. E poiché i nostri antenati a ciò hanno provveduto con grande saggezza e moderazione, non hanno avuto assolutamente alcun motivo per le innovazioni, ed io ritengo che oggettivamente non vi fosse molto da innovare nelle leggi. |
Interesse autem aiunt, utrum eius modi quid sit, sine quo effici aliquid non possit, an eius modi, cum quo effici aliquid necesse sit. Nulla igitur earum est causa, quoniam nulla eam rem sua vi efficit, cuius causa dicitur; nec id, sine quo quippiam non fit, causa est, sed id, quod cum accessit, id, cuius est causa, efficit necessario. Nondum enim ulcerato serpentis morsu Philocteta quae causa in rerum natura continebatur, fore ut is in insula Lemno linqueretur? post autem causa fuit propior et cum exitu iunctior. | Inoltre affermano che c'è una differenza tra un evento senza il quale nulla può aver luogo e un evento con il quale è necessario che qualcosa sia. Nessuno dunque dei motivi sopra indicati risulta essere una causa, perché nessuno di essi produce da sé ciò di cui è detto causa. Causa non è ciò senza cui nulla accade, ma piuttosto ciò che, quando interviene, produce necessariamente ciò di cui è causa. Quando Filottete non era stato ancora ferito dal morso del serpente, quale causa era contenuta nell'ordine universale, per cui dovesse essere abbandonato sull'isola di Lemno? In séguito, però, vi fu una causa più stretta e legata al suo effetto. |
Magna haec immemoris ingeni signa; sed nihil turpius quam quod etiam in scriptis obliviscebatur quid paulo ante posuisset: ut in eo libro, ubi se exeuntem e senatu et cum Pansa nostro et cum Curione filio conloquentem facit, cum senatum Caesar consul habuisset, omnisque ille sermo ductus <est> a percontatione fili quid in senatu esset actum. in quo multis verbis cum inveheretur in Caesarem Curio disputatioque esset inter eos, ut est consuetudo dialogorum, cum sermo esset institutus senatu misso, quem senatum Caesar consul habuisset, reprendit eas res, quas idem Caesar anno post et deinceps reliquis annis administravisset in Gallia. | Questi sono segni cospicui di smemorataggine; ma la cosa più vergognosa era che anche nei suoi scritti si dimenticava di quanto aveva affermato poco prima: come in quel libro in cui si rappresenta nell'atto di uscire dal senato e di conversare col nostro Pansa e con Curione suo figlio. La riunione del senato era stata presieduta da Cesare console e tutta la conversazione muoveva da una domanda del figlio: di che cosa si era discusso in senato? Curione faceva una lunga invettiva contro Cesare, e, come è costume nei dialoghi, si svolgeva tra loro una discussione. Sebbene la conversazione iniziasse al termine di una seduta del senato presieduta da Cesare console, Curione biasimava l'attività di Cesare in qualità di governatore della Gallia nell'anno successivo e in quelli ancora di poi." |
"At enim observatio diuturna (haec enim pars una restat) notandis rebus fecit artem. " Ain tandem? " Somnia observari possunt. " Quonam modo? Sunt enim innumerabiles varietates. Nihil tam praepostere, tam incondite, tam monstruose cogitari potest, quod non possimus somniare; quo modo igitur haec infinita et semper nova aut memoria complecti aut observando notare possumus? Astrologi motus errantium stellarum notaverunt: inventus est enim ordo in iis stellis, qui non putabatur.Cedo tandem qui sit ordo aut quae concursatio somniorum; quo modo autem distingui possunt vera somnia a falsis, cum eadem et aliis aliter evadant et isdem non semper eodem modo? Ut mihi mirum videatur, cum mendaci homini ne verum quidem dicenti credere soleamus, quo modo isti, si somnium verum evasit aliquod, non ex multis potius uni fidem derogent quam ex uno innumerabilia confirment.Si igitur neque deus est effector somniorum neque naturae societas ulla cum somniis, neque observatione inveniri potuit scientia, effectum est ut nihil prorsus somniis tribuendum sit, praesertim cum illi ipsi, qui ea vident, nihil divinent, ii qui interpretantur coniecturam adhibeant, non naturam, casus autem innumerabilibus paene saeculis in omnibus plura mirabilia quam in somniorum visis effecerit, neque coniectura, quae in varias partis duci possit, non numquam etiam in contrarias, quicquam sit incertius. | "Ma l'assidua osservazione, con la registrazione dei fatti, creò l'arte divinatoria": questa è l'ultima difesa che resta. da prendere in esame. Ma lo credi davvero? "I sogni si possono osservare." In che modo? Ve ne sono innumerevoli varietà. Non si può immaginare niente di così assurdo, incoerente, mostruoso che non possa apparirci in sogno: in che modo queste visioni infinite e sempre nuove si possono ricordare o registrare mediante l'osservazione? Gli astronomi hanno potuto notare i movimenti dei pianeti: nei loro movimenti, infatti, si è scoperta una regolarità di cui prima non si aveva alcuna idea. Ma dimmi un po' quale è l'ordine o la coincidenza dei sogni; in che modo, poi, si possono distinguere i sogni veri dai falsi, poiché gli stessi sogni dànno luogo a risultati diversi per le diverse persone, e nemmeno per la stessa persona l'evento è sempre uguale? Sicché mi sembra stranissimo che, mentre a un bugiardo siamo soliti non credere nemmeno quando dice la verità, codesti fautori dei sogni, se una volta tanto un sogno si è avverato, non neghino fede a quell'unico fra tanti, invece di legittimarne innumerevoli sul fondamento di uno solo.Se, dunque, né la divinità è causa dei sogni, né vi è alcuna connessione fra la natura e i sogni, né la scienza dei sogni si è potuta stabilire mediante l'osservazione, la conclusione è che ai sogni non si deve attribuire assolutamente alcun valore, tanto più che quelli che fanno sogni non sanno prevedere nulla in base a essi, quelli che li interpretano ricorrono a spiegazioni vaghe, non a leggi naturali, e il caso, nel volgere di innumerevoli secoli, ha prodotto in ogni campo più effetti mirabili che nelle visioni dei sogni, e niente è più incerto dell'interpretazione, la quale si può trascinare in varie direzioni, spesso in direzioni addirittura opposte. |
An aliter haec enuntiatio vera esse potest, 'Capiet Numantiam Scipio', nisi ex aeternitate causa causam serens hoc erit effectura? An hoc falsum potuisset esse, si esset sescentis saeculis ante dictum? Et si tum non esset vera haec enuntiatio: 'Capiet Numantiam Scipio', ne illa quidem eversa vera est haec enuntiatio: 'Cepit Numantiam Scipio.' Potest igitur quicquam factum esse, quod non verum fuerit futurum esse? Nam ut praeterita ea vera dicimus, quorum superiore tempore vera fuerit instantia, sic futura, quorum consequenti tempore vera erit instantia, ea vera dicemus. | Forse che l'affermazione: "Scipione prenderà Numanzia" non può essere vera, se non nel caso in cui una causa, connettendosi a un'altra dall'eternità, verrà a produrre tale effetto? Oppure avrebbe potuto essere falsa, se fosse stata detta seicento secoli prima? Se allora non fosse vera la frase: "Scipione prenderà Numanzia", neppure quest'altra sarebbe vera: "Scipione ha preso Numanzia". Può dunque essersi verificato nel passato un evento, la cui realizzazione nel futuro non sia vera? Come definiamo veri gli eventi del passato, la cui imminenza sia stata vera in un tempo ad essi precedente, così definiremo veri gli eventi del futuro, la cui imminenza sarà vera nel tempo a venire. |
Haec enim etiam in fabulis stultissima persona est improvidorum et credulorum senum. Sed nescio quo pacto ab amicitiis perfectorum hominum, id est sapientium (de hac dico sapientia, quae videtur in hominem cadere posse), ad leves amicitias defluxit oratio. Quam ob rem ad illa prima redeamus eaque ipsa concludamus aliquando.Virtus, virtus, inquam, C. Fanni, et tu, Q. Muci, et conciliat amicitias et conservat. In ea est enim convenientia rerum, in ea stabilitas, in ea constantia; quae cum se extulit et ostendit suum lumen et idem aspexit agnovitque in alio, ad id se admovet vicissimque accipit illud, quod in altero est; ex quo exardescit sive amor sive amicitia; utrumque enim dictum est ab amando; amare autem nihil est aliud nisi eum ipsum diligere, quem ames, nulla indigentia, nulla utilitate quaesita; quae tamen ipsa efflorescit ex amicitia, etiamsi tu eam minus secutus sis. | Anche a teatro il personaggio più stupido è quello dei vecchio sprovveduto e credulone. Non so come, ma il discorso è scivolato dalle amicizie tra uomini perfetti, cioè saggi (mi riferisco alla saggezza che sembra accessibile all'uomo), alle amicizie di poco conto. Ritorniamo allora al punto di partenza e cerchiamo di concludere. È la virtù, sì è la virtù, o Caio Fannio e tu, mio Quinto Mucio, a procurare e a conservare le amicizie. In essa c'è armonia, stabilità e coerenza. Quando sorge e mostra la sua luce, quando vede e riconosce la stessa luce in altri, vi si avvicina per ricevere, a sua volta, la luce che brilla nell'altro. Si accende così l'amore, o l'amicizia (entrambi i termini derivano infatti da amare). E amare altro non è che provare per chi si ama un affetto fine a se stesso, indipendente dal bisogno e dalla ricerca di vantaggi. I vantaggi, tuttavia, sbocciano dall'amicizia, anche se non sei andato a cercarli. |
defendit postea Liciniam virginem, cum annos xxvii natus esset. in ea ipsa causa fuit eloquentissimus orationisque eius scriptas quasdam partes reliquit. voluit adulescens in colonia Narbonensi causae popularis aliquid adtingere eamque coloniam, ut fecit, ipse deducere; exstat in eam legem senior, ut ita dicam, quam aetas illa ferebat oratio. multae deinde causae; sed ita tacitus tribunatus ut, nisi in eo magistratu cenavisset apud praeconem Granium idque nobis bis narravisset Lucilius, tribunum plebis nesciremus fuisse. | In seguito, quando aveva ventisette anni, difese la vergine Licinia. In quella causa fu eloquentissimo, e lasciò scritte alcune parti" di quel discorso. In gioventù volle sfiorare, a proposito della colonia di Narbona, temi della politica popolare, e guidare lui stesso, come fece, la fondazione di quella colonia . Ci resta il discorso su quella legge, più maturo, per dir così, di quanto la sua età comportasse. Seguirono molte cause; ma il tribunato fu così taciturno, che se nel corso di quella magistratura non fosse stato a cena dal banditore Granio, e se Lucilio non ci avesse raccontato due volte questo episodio noi ignoreremmo che fu tribuno della plebe." |
M. CICERO S. D. CURIONIEpistularum genera multa esse non ignoras sed unum illud certissimum, cuius causa inventa res ipsa est, ut certiores faceremus absentis si quid esset quod eos scire aut nostra aut ipsorum interesset. Huius generis litteras a me profecto non exspectas. Tuarum enim rerum domesticos habes et scriptores et nuntios, in meis autem rebus nihil est sane novi. Reliqua sunt epistularum genera duo, quae me magno opere delectant, unum familiare et iocosum, alterum severum et grave.Utro me minus deceat uti non intellego. Iocerne tecum per litteras? Civem mehercule non puto esse, qui temporibus his ridere possit. An gravius aliquid scribam? Quid est quod possit graviter a Cicerone scribi ad Curionem nisi de re publica? Atqui in hoc genere haec mea causa est ut [neque ea quae sentio audeam] neque ea quae non sentio velim scribere.Quam ob rem, quoniam mihi nullum scribendi argumentum relictum est, utar ea clausula qua soleo teque ad studium summae laudis cohortabor. Est enim tibi gravis adversaria constituta et parata incredibilis quaedam exspectatio; quam tu una re facillime vinces, si hoc statueris, quarum laudum gloriam adamaris, quibus artibus eae laudes comparantur, in iis esse laborandum. In hanc sententiam scriberem plura, nisi te tua sponte satis incitatum esse confiderem. Et hoc, quicquid attigi, non feci inflammandi tui causa sed testificandi amoris mei. | CICERONE A CURIONEEsistono diversi tipi di lettere, come ben sai, ma ce ne è uno solo che ha inequivocabilmente originatol'epistolografia stessa: quello che ci serve per informare gli assenti di eventuali fatti, di cui è interesse nostro o loroche siano al corrente. Lettere di questo genere chiaramente da me non te ne aspetti: hai in casa segretari e corrieriper tenerti a giorno sui tuoi affari privati; e quanto alle cose mie non c'è assolutamente niente di nuovo. Così restanosolo due altri tipi di lettere che corrispondono perfettamente ai miei gusti, uno confidenziale e scherzoso, l'altroaustero e solenne. Non capisco bene a quale mi convenga meno ricorrere. Mettermi a scherzare con te percorrispondenza? Non credo, accidenti, che ci sia cittadino alcuno che di questi tempi abbia la possibilità di ridere.Scriverti un qualche cosa di più serio? E quale argomento più serio della politica potrebbe Cicerone trattare conCurione? Eppure in tema di politica la mia posizione è tale che da un lato non oso scrivere quel che sento, edall'altro non vorrei scrivere quel che non sento. Dunque, poiché non mi è stato lasciato alcunché da trattare, migioverò dello spunto che mi è più familiare e concluderò con una esortazione alla gloria che sproni la tuaambizione. Hai di fronte il peso incombente delle straordinarie aspettative suscitate intorno a te. Potrai superarequesto ostacolo con molta facilità a patto di stabilire chiaramente l'oggetto delle tue ambizioni e concentrare i tuoisforzi sugli strumenti giusti per cogliere quella meta. Spenderei più parole a sostegno di tale mia convinzione, maho fiducia che il tuo amor proprio sia sufficientemente stimolato per conto suo; d'altronde, questo breve cenno nonl'ho fatto per accendere in te una fiamma, ma per testimoniarti il mio affetto. |
Ornanda enim est dignitas domo, non ex domo tota quaerenda, nec domo dominus, sed domino domus honestanda est, et, ut in ceteris habenda ratio non sua solum, sed etiam aliorum, sic in domo clari hominis, in quam et hospites multi recipiendi et admittenda hominum cuiusque modi multitudo, adhibenda cura est laxitatis. Aliter ampla domus dedecori saepe domino fit, si est in ea solitudo, et maxime, si aliquando alio domino solita est frequentari. Odiosum est enim, cum a praetereuntibus dicitur:o domus antiqua, heu quam disparidominare dominoquod quidem his temporibus in multis licet dicere. | E giustamente: poiché la dignità della persona deve trovar nella casa il suo ornamento, ma non deve cercare in essa la sua prima ed ultima ragione. Non la casa deve conferir decoro al padrone, ma il padrone alla casa. E come in tutte le cose si deve tener conto non solo di sé, ma anche degli altri, così trattandosi della casa di un personaggio illustre, nella quale bisogna ricevere molti ospiti e ammettere molta gente d'ogni sorta, si procuri che essa abbia una giusta ampiezza; se no, una casa troppo vasta, se rimane vuota e deserta, risulta indecorosa per il padrone, tanto più se, in altro tempo e con altro padrone, era di solito molto frequentata. Fa pena sentir dire dai passanti:O casa antica, in quali man cadesti!cosa che in questi tempi si può dire a proposito di molti. |
C. Fimbriam consularem audiebam de patre nostro puer iudicem M. Lutatio Pinthiae fuisse, equiti Romano sane honesto, cum is sponsionem fecisset ni vir bonvs esset. Itaque ei dixisse Fimbriam se illam rem numquam iudicaturum, ne aut spoliaret fama probatum hominem, si contra iudicavisset, aut statuisse videretur virum bonum esse aliquem, cum ea res innumerabilibus officiis et laudibus contineretur. Huic igitur viro bono, quem Fimbria etiam, non modo Socrates noverat, nullo modo videri potest quicquam esse utile, quod non honestum sit.Itaque talis vir non modo facere, sed ne cogitare quidem quicquam audebit, quod non audeat praedicare. Haec non turpe est dubitare philosophos, quae ne rustici quidem dubitent? a quibus natum est id, quod iam contritum est vetustate proverbium. Cum enim fidem alicuius bonitatemque laudant, dignum esse dicunt, quicum in tenebris mices. Hoc quam habet vim nisi illam, nihil expedire quod non deceat, etiam si id possis nullo refellente optinere? | Quand'ero ragazzo sentivo raccontare da mio padre che l'ex-console Fimbria fu giudice in un processo riguardante Marco Lutazio Pinzia, onestissimo cavaliere romano, che si era impegnato a pagare una somma se una sentenza da lui provocata non l'avesse dichiarato galantuomo; Fimbria gli disse che non avrebbe mai fatto da giudice in quella questione, per non togliere la reputazione ad un uomo stimato, in caso di un giudizio negativo, o per non sembrare di aver decretato che un uomo è onesto, dal momento che tale qualità presuppone innumerevoli doveri e virtù. A quest'uomo buono, di cui aveva un'idea ben precisa non solo Socrate, ma anche Fimbria, in nessun modo può sembrare utile una cosa che non sia onesta; di conseguenza un tale uomo non solo non oserà fare, ma neppure pensare alcunché che non oserebbe dire pubblicamente. Non è vergognoso che i filosofi siano indecisi su ciò che non suscita dubbi neanche nei contadini? Da essi derivò quel proverbio ormai logoro per l'uso: quando vogliono lodare la lealtà e la bontà di qualcuno, dicono che è degno che si giuochi alla morra con lui al buio. Che significa questo, se non che nulla è conveniente se non è lecito moralmente, anche se noi lo possiamo ottenere senza che alcuno ci smentisca? |
Tum etiam P. Lentulus ille princeps ad rem publicam dumtaxat quod opus esset satis habuisse eloquentiae dicitur; isdemque temporibus L. Furius Philus perbene Latine loqui putabatur litteratiusque quam ceteri; P. Scaevola valde prudenter et acute; paulo etiam copiosius nec multo minus prudenter M'. Manilius. Appi Claudi volubilis sed paulo fervidior oratio. erat in aliquo numero etiam M. Fulvius Flaccus et C. Cato Africani sororis filius, mediocres oratores; etsi Flacci scripta sunt, sed ut studiosi litterarum.Flacci autem aemulus P. Decius fuit, non infans ille quidem sed ut vita sic oratione etiam turbulentus. | E anche Publio Lentulo, il primo tra i senatori, si dice che avesse eloquenza sufficiente, almeno per quanto richiedevano le esigenze del dibattito politico; nello stesso periodo Lucio Furio Filo aveva fama di parlare un eccellente latino, e con maggiore cultura letteraria degli altri; Publio Scevola, di parlare con robusta dottrina giuridica, e con acume, e Manio Manilio, con un po' più di abbondanza, e con dottrina giuridica non minore. L'eloquenza di Appio Claudio era spedita, ma un po' troppo ribollente. Erano tenuti in una certa considerazione anche Marco Fulvio Flacco e Gaio Catone, figlio di una sorella dell'Africano, oratori di modesto livello; di Flacco restano sì degli scritti, ma sono quelli di un appassionato di studi letterari. Emulo di Flacco fu poi Publio Decio: la favella non gli mancava, è vero, ma era altrettanto turbolento nella vita come nell'eloquenza. |
BITHYNICUS CICERONI SALSi mihi tecum non et multae et iustae causae amicitiae privatim essent, repeterm initia amicitiae ex parentibus nostris, quod faciendum iis existimo, qui paternam amicitiam nullis ipsi officiis prosecuti sunt: itaque contentus ero nostra ipsorum amicitia, cuius fiducia peto a te, ut absentem me, quibuscumque in rebus opus fuerit, tueare, si nullum officium tuum apud me intermoriturum existimas. Vale. | BITINICO A CICERONESe non avessi con te un rapporto personale di amicizia basato su molte e forti ragioni, risalirei indietro fino aiprimordi dell'amicizia tra i nostri genitori: cosa che a parer mio va fatta con coloro che non continuano coi propribuoni uffici le relazioni amichevoli stabilite dai padri. Perciò mi limiterò a rammentare semplicemente l'amiciziaprivata tra noi due: fidando in essa, ti chiedo di tutelare in mia assenza i miei interessi, in qualunque circostanza cene sia bisogno. Sai bene che ogni favore che provenga da te vivrà in eterno nel profondo del mio animo. Addio. |
Et quoniam Stoicorum est facta mentio, Q. Aelius Tubero fuit illo tempore, L. Pauli nepos; nullo in oratorum numero sed vita severus et congruens cum ea disciplina quam colebat, paulo etiam durior; qui quidem in triumviratu iudicaverit contra P. Africani avunculi sui testimonium vacationem augures quo minus iudiciis operam darent non habere; sed ut vita sic oratione durus incultus horridus; itaque honoribus maiorum respondere non potuit. fuit autem constans civis et fortis et in primis Graccho molestus, quod indicat Gracchi in eum oratio; sunt etiam in Gracchum Tuberonis.is fuit mediocris in dicendo, doctissumus in disputando. | E giacché si è fatta menzione degli stoici, a quel tempo visse Quinto Elio Tuberone, nipote di Lucio Paolo; non lo si poteva certo annoverare tra i veri oratori, ma fu di costumi austeri e coerenti con la dottrina che professava, anzi ancora un po' più rigidi: quand'era sentenziò, contro quanto dichiarato da Publio Africano, suo zio materno, che gli auguri non potevano essere dispensati dall'ufficio di giudici . Ma come nella vita, così nel modo di parlare fu duro, trasandato, ruvido; pertanto non poté uguagliare i suoi antenati nella carriera politica. Fu però un cittadino di saldi principi e coraggioso, la cui opposizione fu particolarmente spiacevole per Gracco, come mostra l'orazione di Gracco contro di lui; e vi sono anche discorsi contro Gracco dovuti a Tuberone. Egli fu mediocre nel parlare, ma mostrava grande dottrina nell'argomentare". |
Atque etiam alia divisio est officii. Nam et medium quoddam officium dicitur et perfectum. Perfectum officium rectum, opinor, vocemus, quoniam Graecikatorthoma, hoc autem commune officiumkathekonvocant. Atque ea sic definiunt, ut rectum quod sit, id officium perfectum esse definiant; medium autem officium id esse dicunt, quod cur factum sit, ratio probabilis reddi possit. | Ma c'è anche un'altra suddivisione del dovere. C'è infatti il così detto dovere intermedio o relativo e c'è quello che si chiama assoluto. Il dovere assoluto possiamo anche chiamarlo, se non erro, perfetto, poiché i Greci lo chiamanokatorthoma, mentre chiamanokathekonil dovere relativo. E dei due doveri essi danno questa definizione: definiscono dovere assoluto l'assoluta rettitudine, mentre chiamano dovere relativo quello del cui adempimento si può fornire una ragione plausibile. |
Sed haec, quae sunt oratoris propria, quae mihi non propter ingenium meum, sed propter hanc exercitationem usumque dicendi fructum aliquem ferre potuissent, cum a me ipso elaborata proferri viderentur, brevitatis causa relinquo omnia. Habeo enim, iudices, quem vos socium vestrae religionis iurisque iurandi facile esse patiamini, L. Lucceium, sanctissimum hominem et gravissimum testem, qui tantum facinus in famam atque fortunas suas neque non audisset illatum a Caelio neque neglexisset neque tulisset.An ille vir illa humanitate praeditus, illis studus, illis artibus atque doctrina illius ipsius periculum, quem propter haec ipsa studia diligebat, neglegere potuisset et, quod facinus in alienum hominem intentum severe acciperet, id omisisset curare in hospitem? quod per ignotos actum cum comperisset, doleret, id a suis servis temptatum esse neglegeret? quod in agris locisve publicis factum reprehenderet, id in urbe ac suae domi coeptum esse leniter ferret? quod in alicuius agrestis periculo non praetermitteret, id homo eruditus in insidiis doctissimi hominis dissimulandum putaret? | Ma queste cose, le quali sono caratteristiche dell’oratore(genitivo di pertinenza), che non per il mio ingegno, ma per questa pratica ed esperienza del dire, avrebbero potuto apportare a me qualche frutto, sembrando che sia scaturita da una mia stessa elaborazione, tralascio per di brevità tutte queste cose. Infatti ho, o giudici, qualcuno che voi potreste tollerare facilmente come alleato della vostra coscienziosità e per diritto di giurare, Lucio Lucceio, uomo assai pio e testimone serissimo, che non avrebbe permesso che un delitto tanto grande fosse arrecato da Celio alla sua fama e fortuna, né lo avrebbe ignorato né sopportato. Forse(An= particella dubitativa nelle interrogative)quell’uomo, dotato di quella umanità, di quella cultura, di quelle scienze e di dottrina avrebbe potuto disinteressarsi del pericolo di quello stesso, che lui prediligeva per(propter + accusativo - Complemento di causa)affinità di queste medesimi interessi, ed avrebbe potuto trascurare nei confronti di un ospite, un tale delitto che avrebbe ostacolato con severità anche se intrattenuto con un uomo estraneo? Dopo aver saputo (cum narrativo con sfumatura temporale)che ciò era stato compiuto attraverso ignoti avrebbe provato dolore, potrebbe dimenticare ciò che è stato compiuto dai suoi servi? Potrebbe tollerare con facilità che fosse stato compiuto nella città e nella propria casa, ciò che condannerebbe essendo stato compiuto nelle campagne e nei luoghi pubblici. Un uomo colto considererebbe da dover essere dissimulato ciò nelle insidie di un uomo ugualmente acculturato, (quando) non avrebbe lasciato impunito nel pericolo di un qualsiasi villano? |
Quid? Illudne dubium est quin multi, cum ita nati essent ut quaedam contra naturam depravata haberent, restituerentur et corrigerentur ab Natura, cum se ipsa revocasset, aut arte atque medicina? Ut, quorum linguae sic inhaererent, ut loqui non possent, eae scalpello resectae liberarentur. Multi etiam naturae vitium meditatione atque exercitatione sustulerunt, ut Demosthenem scribit Phalereus, cum "rho" dicere nequiret, exercitatione fecisse ut planissume diceret.Quodsi haec astro ingenerata et tradita essent, nulla res ea mutare posset. Quid? Dissimilitudo locorum nonne dissimiles bominum procreationes habet? Quas quidem percurrere oratione facile est, quid inter Indos et Persas, Aethiopas et Syros differat corporibus, animis, ut incredibilis varietas dissimilitudoque sit. Ex quo intellegitur plus terrarum situs quam lunae tactus ad nascendum valere. Nam quod aiunt quadringenta septuaginta milia annorum in periclitandis experiundisque pueris, quicumque essent nati, Babylonios posuisse, fallunt: si enim esset factitatum, non esset desitum; neminem autem habemus auctorem, qui id aut fieri dicat aut factum sciat. | Può esser messo in dubbio, poi, che molti, nati con qualche parte del corpo deforme e anormale, siano stati guariti e riportati alla normalità dalla Natura, che ha corretto se stessa, o dalla chirurgia e dalla medicina? Per esempio, ad alcuni, che avevano la lingua attaccata al palato così da non poter parlare, quell'organo è stato reso libero con un taglio di bisturi. Molti altri eliminarono un difetto di natura mediante la continua applicazione e l'esercizio, come Demetrio Falereo riferisce quanto a Demostene, il quale, non essendo in grado di pronunciare la letteraerre, col continuo esercizio riuscì a pronunciarla perfettamente. Se quei difetti fossero stati prodotti e trasmessi da un influsso astrale, niente li avrebbe potuti correggere. E la differenza dei luoghi non produce differenti tipi umani? Di tali differenze è facile dare esempi, mostrare quanto son diversi nel corpo e nel carattere gli indiani e i persiani, gli etìopi e i siri, a tal punto che le varietà e le dissimiglianze sono addirittura incredibili. Da ciò si comprende che, riguardo alle nascite, le diverse località della terra valgono più dei contatti della luna. E quanto a ciò che si dice, che i babilonesi continuarono a osservare e a sperimentare tutti i bambini che via via nascevano per la durata di 470.000 anni, è una menzogna: se lo avessero fatto davvero per tanto tempo, non avrebbero smesso. Non abbiamo, d'altronde, alcun testimone autorevole che ci assicuri che ciò venga fatto o sappia che sia stato fatto in passato. |
Deinceps de ordine rerum et de opportunitate temporum dicendum est. Haec autem scientia continentur ea, quam Graecieutaxinnominant, non hanc, quam interpretamur modestiam, quo in verbo modus inest, sed illa esteutaxia, in qua intellegitur ordinis conservatio. Itaque, ut eandem nos modestiam appellemus, sic definitur a Stoicis, ut modestia sit scientia rerum earum, quae agentur aut dicentur, loco suo collocandarum. Ita videtur eadem vis ordinis et collocationis fore; nam et ordinem sic definiunt, compositionem rerum aptis et accommodatis locis.Locum autem actionis opportunitatem temporis esse dicunt; tempus autem actionis opportunum Graeceeukairia, Latine appellatur occasio. Sic fit, ut modestia haec, quam ita interpretamur, ut dixi, scientia sit opportunitatis idoneorum ad agendum temporum. | Ora dobbiamo parlare dell'ordine, in cui si devono disporre, e del tempo, in cui si devono compiere, le nostre azioni. Questi due concetti son compresi in quella facoltà che i Greci chiamanoeutaxin(= buon ordine); non già quella che noi rendiamo con la voce "moderazione" (parola in cui è inclusa la nozione di "misura"), ma quellaeutaxia, che significa "osservanza dell'ordine". Del resto, a chiamarla anche col nome di "moderazione", ce ne danno pieno diritto gli Stoici, i quali la definiscono come la facoltà di collocare nel loro giusto luogo tutte quelle cose che si devono fare o dire. Appare così chiaramente che i due termini "ordine" e "collocazione" sono equivalenti. In verità, gli Stoici definiscono e deducono questi concetti così: l'"ordine" è l'arte di collocare e disporre le cose nel luogo più adatto; ma il luogo dell'azione non è che l'opportunità del tempo; e il tempo opportuno per l'azione è quello che i Greci chiamanoeukairiae che noi chiamiamo "occasione". Ne segue che questa "moderazione", interpretata così come ho detto, è l'arte di conoscere e di scegliere il tempo opportuno per ogni nostra azione. |
nec enim posset idem Demosthenes dicere, quod dixisse Antimachum clarum poetam ferunt: qui cum convocatis auditoribus legeret eis magnum illud, quod novistis, volumen suum et eum legentem omnes praeter Platonem reliquissent, 'legam' inquit 'nihilo min us: Plato enim mihi unus instar est centum milium'. et recte: poema enim reconditum paucorum adprobationem, oratio popularis adsensum volgi debet movere. at si eundem hunc Platonem unum auditorem haberet Demosthenes, cum esset relictus a ceteris, verbum f acere non posset. | E infatti Demostene non avrebbe potuto dire quel che si tramanda abbia detto il celebre poeta Antimaco; di fronte a un uditorio da lui invitato, costui leggeva quella sua voluminosa opera che voi conoscete; mentre leggeva, venne piantato in asso da tutti, eccettuato Platone. "Leggerò lo stesso;" disse "Platone da solo vale per me centomila ascoltatori." E aveva ragione: una composizione poetica sofisticata deve infatti suscitare l'approvazione di pochi, un discorso di fronte al popolo, il consenso del volgo. Se però sempre lo stesso Platone lo avesse avuto come unico ascoltatore Demostene, e fosse stato invece piantato in asso da tutti gli altri, non avrebbe potuto proferire parola. |
Atticus:Laudata quidem a te graviter et vere! Sed quorsus hoc pertinet?Marcus:Primum ad ea, Pomponi, de quibus acturi iam sumus, quae tanta esse volumus. Non enim erunt, nisi ea fuerint, unde illa manant, amplissima. Deinde facio et lubenter et, ut spero, recte, quod eam quoius studio teneor quaeque me eum, quicumque sum, effecit, non possum silentio praeterire.Atticus:Re<cte> vero facis et merito et pie, fuitque id, ut dicis, in hoc sermone faciundum. | Marco:In primo luogo, Pomponio, esso si ricollega agli argomenti di cui fra poco tratteremo, ed essi, appunto, desideriamo che abbiano una notevole importanza; infatti non sarebbero tali, se non fossero importantissimi i principi donde essi scaturiscono. Aggiungo inoltre che lo faccio di buon grado e, credo, anche con buoni motivi, non potendo passare sotto silenzio colei, la cui passione tutto mi ha preso e che tale mi fece, quale io sono attualmente.Attico:E davvero agisci com'essa merita, con rispetto, ed è giusto che in questa conversazione si faccia ciò, come tu dici. |
apud maiores autem nostros video disertissimum habitum ex Latio L. Papirium Fregellanum Ti. Gracchi P. f. fere aetate; eius etiam oratio est pro Fregellanis colonisque Latinis habita in senatu. Tum Brutus: quid tu igitur, inquit, tribuis istis externis quasi oratoribus? Quid censes, inquam, nisi idem quod urbanis? praeter unum, quod non est eorum urbanitate quadam quasi colorata oratio. | Ma presso i nostri antenati vedo che fu stimato il più facondo, fra quelli del Lazio, Lucio Papirio Fregellano, all'incirca dell'epoca di Tiberio Gracco figlio di Publio; di lui c'è anche un discorso, tenuto in senato, in favore dei Fregellani e dei coloni latini". Allora Bruto: "Quale valore dunque attribuisci" disse "a questi oratori per dir così forestieri?". "E quale vuoi che gli attribuisca," dissi "se non lo stesso che a quelli della città? Tranne per una cosa, che il loro parlare non ha, diciamo così, quel certo colore di urbanità." |
Sin autem ad adulescentiam perduxissent, dirimi tamen interdum contentione vel uxoriae condicionis vel commodi alicuius, quod idem adipisci uterque non posset. Quod si qui longius in amicitia provecti essent, tamen saepe labefactari, si in honoris contentionem incidissent; pestem enim nullam maiorem esse amicitiis quam in plerisque pecuniae cupiditatem, in optimis quibusque honoris certamen et gloriae; ex quo inimicitias maximas saepe inter amicissimos exstitisse. | Se invece si siano protratti fino alla giovinezza, talvolta sono distrutti da un conflitto per un buon partito matrimoniale o per qualche vantaggio che entrambi non possono aggiungere. Ma se qualcuno ha fatto durare più a lungo l'amicizia, tuttavia è fatta spesso vacillare, se capitano nella lotta per le magistrature; infatti, non v'è flagello più grande per le amicizie, che il desiderio di ricchezze nei più e la contesa delle cariche pubbliche nei migliori. |
Hecatonem quidem Rhodium, discipulum Panaetii, video in iis libris, quos de officio scripsit Q. Tuberoni, dicere, sapientis esse nihil contra mores, leges, instituta facientem habere rationem rei familiaris. Neque enim solum nobis divites esse volumus, sed liberis, propinquis, amicis maximeque rei publicae. Singulorum enim facultates et copiae divitiae sunt civitatis. Huic Scaevolae factum, de quo paulo ante dixi, placere nullo modo potest. Etenim omnino tantum se negat facturum compendii sui causa, quod non liceat. | Vedo che Ecatone di Rodi, discepolo di Panezio, nei libri scritti 'Sul dovere' e da lui dedicati a Quinto Tuberone, dice che è proprio del sapiente curare il proprio patrimonio senza far nulla contro la morale, le leggi e le istituzioni. E non vogliamo, difatti essere ricchi solo per noi, ma per i figli, i parenti, gli amici e soprattutto per lo Stato. I beni e gli averi dei singoli costituiscono, infatti, le ricchezze della città. A costui non può assolutamente piacere il gesto di Scevola, che ho citato poco fa; difatti egli dice che non farebbe per suo profitto soltanto quello che non è permesso. A costui non bisogna concedere né lode né riconoscenza. |
Sed ut, unde huc digressa est, eodem redeat oratio: si nihil queam disputare quam ob rem quidque fiat, et tantum modo fieri ea quae commemoravi doceam, parumne Epicuro Carneadive respondeam? Quid si etiam ratio exstat artificiosae praesensionis facilis, divinae autem paulo obscurior? Quae enim extis, quae fulgoribus, quae portentis, quae astris praesentiuntur, haec notata sunt observatione diuturna; adfert autem vetustas omnibus in rebus longinqua observatione incredibilem scientiam; quae potest esse etiam sine motu atque impulsu deorum, cum quid ex quoque eveniat et quid quamque rem significet crebra animadversione perspectum est.Altera divinatio est naturalis, ut ante dixi; quae physica disputandi subtditate reverenda est ad naturam deorum, a qua, ut doctissimis sapientissimisque placuit, haustos animos et libatos habemus; cumque omnia completa et referta sint aeterno sensu et mente divina, necesse est cognatione divinorum animorum animos humanos commoveri. Sed vigìlantes animi vitae necessitatibus serviunt diiunguntque se a societate divina vinclis corporis impediti. (Rarum est quoddam genus eorum qui se a corpore àvocent et ad divinarum rerum cognitionem cura omni studioque rapiantur). Horum sunt auguria non divini impetus, sed rationis humanae; nam et natura futura praesentiunt, ut aquarum eluviones et deflagrationem futuram aliquando caeli atque terrarum; alii autem in re publica esercitati, ut de Atheniensi Solone accepimus, orientem tyrannidem multo ante prospiciunt. Quos prudentes possumus dicere, id est providentes, divinos nullo modo possumus, non plus quam Milesium Thalem, qui, ut obiurgatores suos convinceret ostenderetque etiam philosophum, si ei commodum esset, pecuniam facere posse, omnem oleam, ante quam florere coepisset, in agro Milesio coemisse dicitur. Animadverterat fortasse quadam scientia olearum ubertatem fore. Et quidem idem primus defectionem solis, quae Astyage regnante facta est, praedixisse fertur. | Ma, per ritornare al punto da cui ha preso le mosse il mio discorso, anche se io non fossi per nulla in grado di spiegare perché avviene ciascuno di questi fatti, e dimostrassi soltanto che i fatti che ho menzionato avvengono, sarebbe debole la mia replica a Epicuro e a Carneade? Ebbene, che diremo se esiste anche la spiegazione, facile quella delle profezie ottenute mediante l'arte, alquanto più oscura, in verità, quella delle profezie derivanti da esaltazione divina? Le profezie ricavate dalle viscere, dai fulmini, dai portenti, dagli astri si basano sulla registrazione di osservazioni costanti; e in ogni campo la lunga durata, accompagnata da lunga osservazione, ci procura straordinarie conoscenze. Queste si possono ottenere anche senza l'intervento e l'impulso degli dèi, quando, con frequenti esperienze, si arriva a capire che cosa accada in conseguenza di ciascun segno e quale sia il valore di premonizione di ciascun fenomeno. L'altra forma di divinazione, l'ho già detto, è quella naturale. Essa, con sottili ragionamenti riguardanti la scienza della natura, va riferita all'essenza degli dèi, dalla quale, secondo i pensatori più dotti e sapienti, noi abbiamo tratto le nostre anime, come se le avessimo aspirate o bevute; e poiché il Tutto è compenetrato e riempito di spirito eterno e di intelligenza divina, avviene necessariamente che le anime umane subiscano l'effetto della loro affinità con le anime divine. Ma, nello stato di veglia, le nostre anime devono occuparsi delle necessità della vita, e quindi si disgiungono dalla comunanza con la divinità, impedite come sono dai legami corporei. Soltanto poche persone sono capaci di astrarsi dal corpo e di innalzarsi, mettendo in opera tutte le loro energie, fino alla conoscenza delle cose divine. Le profezie di costoro non dipendono da afflato divino, ma da ragionamento umano: essi prevedono i fenomeni che avverranno per cause naturali, come le alluvioni o quella deflagrazione del cielo e della terra che un giorno avverrà; altri fra costoro, avendo pratica di cose politiche, sanno prevedere con molto anticipo il sorgere di una tirannide, come sappiamo che fece l'ateniese Solone. Questi li possiamo chiamare "prudenti", cioè "preveggenti", ma certamente non dotati di divinazione. Lo stesso si può dire di Talete di Mileto, il quale, per mettere a tacere i suoi denigratori e per mostrar loro che anche un filosofo, se gli aggrada, può far guadagni, comprò - si racconta - tutti gli olivi del territorio di Mileto prima che incominciassero a fiorire. Si era forse accorto, per certe sue osservazioni scientifiche, che gli olivi avrebbero dato un ottimo raccolto. Fu anche Talete che, a quanto si dice, previde per primo un'eclissi di sole, che in effetti avvenne sotto il regno di Astiage. |
Video de istis, qui se populares haberi volunt, abesse non neminem, ne de capite videlicet civium Romanorum sententiam ferat. Is et nudius tertius in custodiam cives Romanos dedit et supplicationem mihi decrevit et indices hesterno die maximis praemiis adfecit. Iam hoc nemini dubium est qui reo custodiam, quaesitori gratulationem, indici praemium decrerit, quid de tota re et causa iudicarit. At vero C. Caesar intellegit legem Semproniam esse de civibus Romanis constitutam; qui autem rei publicae sit hostis, eum civem esse nullo modo posse; denique ipsum latorem Semproniae legis iniussu populi poenas rei publicae dependisse.Idem ipsum Lentulum, largitorem et prodigum, non putat, cum de pernicie populi Romani, exitio huius urbis tam acerbe, tam crudeliter cogitarit, etiam appellari posse popularem. Itaque homo mitissimus atque lenissimus non dubitat P. Lentulum aeternis tenebris vinculisque mandare et sancit in posterum, ne quis huius supplicio levando se iactare et in pernicie populi Romani posthac popularis esse possit. Adiungit etiam publicationem bonorum, ut omnis animi cruciatus et corporis etiam egestas ac mendicitas consequatur. | Vedo, comunque, che non pochi di coloro che si spacciano per democratici sono assenti, evidentemente per evitare di dare un giudizio sulla condanna a morte di cittadini romani. Eppure, questi "democratici" solo l'altro ieri hanno fatto arrestare dei cittadini romani, hanno approvato una cerimonia di ringraziamento in mio onore e, ieri, hanno ricompensato con la massima generosità i nostri informatori. Chi ha approvato l'arresto dei colpevoli, il rito di ringraziamento per il magistrato istruttore e le ricompense per gli accusatori si è già espresso su tutta la vicenda e sulla causa, nessuno può dubitarne! Ma Cesare sa che la legge Sempronia è stata promulgata a riguardo dei cittadini romani e che chi è nemico dello Stato perde completamente i diritti civili; sa, infine, che il promotore della legge Sempronia è stato condannato, per reati politici, senza appello al popolo. E non pensa che lo stesso Lentulo, nonostante la sua straordinaria generosità, possa ancora chiamarsi "democratico" dal momento che ha meditato con tanta ferocia, con tanta crudeltà la rovina del popolo romano e la fine di Roma. E allora Cesare, da uomo così mite e indulgente, non esita a gettare Publio Lentulo nel buio eterno di una prigione e impone che, in futuro, nessuno possa vantarsi di aver mitigato il supplizio di Lentulo e farsi chiamare ancora "democratico", quando si tratta della rovina del popolo romano. Propone inoltre la confisca dei beni, perché a ogni sofferenza fisica e morale sopraggiunga la miseria. |
Nunc iam aperte rem publicam universam petis, templa deorum inmortalium, tecta urbis, vitam omnium civium, Italiam [denique] totam ad exitium et vastitatem vocas. Quare, quoniam id, quod est primum, et quod huius imperii disciplinaeque maiorum proprium est, facere nondum audeo, faciam id, quod est ad severitatem lenius et ad communem salutem utilius. Nam si te interfici iussero, residebit in re publica reliqua coniuratorum manus; sin tu, quod te iam dudum hortor, exieris, exhaurietur ex urbe tuorum comitum magna et perniciosa sentina rei publicae. | Ma ormai attacchi apertamente tutto lo Stato; vuoi portare alla totale distruzione i templi degli dèi immortali, gli edifici di Roma, la vita di tutti i cittadini, l'Italia intera. Perciò, dal momento che non oso ancora fare quel che sarebbe urgente e rientrerebbe nei poteri della mia carica e nella tradizione degli antenati, prenderò un provvedimento meno severo, ma più utile alla sicurezza comune. Se infatti ti condannerò a morte, rimarrà nello Stato il gruppo dei congiurati. Ma se tu, come ti esorto da tempo, te ne andrai, la città si libererà dei tuoi numerosi e infami complici, fogna dello Stato. |
Atque etiam illa concitatio declarat vini in animis esse divinam. Negat enim sine furore Democritus quemquam poetam magnum esse posse, quod idem dicit Plato. Quem, si placet, appellet furorem, dum modo is furor ita laudetur ut in Phaedro [Platonis] laudatus est. Quid? Vestra oratio in causis, quid? ipsa actio potest esse vehemens et gravis et copiosa, nisi est animus ipse commotior? Equidem etiam in te saepe vidi et, ut ad leviora veniamus, in Aesopo, familiari tuo, tantum ardorem vultuum atque motuum, ut eum vis quaedam abstraxisse a sensu mentis videretur.Obiciuntur etiam saepe formae, quae reapse nullae sunt; speciem autem offerunt; quod contigisse Brenno dicitur eiusque Gallicis copiis, cum fano Apollinis Delphici nefarium bellum intulisset.Tum enim ferunt ex oraclo ecfatam esse Pythiam:"Ego providebo rem istam et albae virgines."Ex quo factum ut viderentur virgines ferre arma contra et nive Gallorum obrueretur exercitus. | E anche quell'esaltazione dimostra che nell'anima c'è una forza divina. Democrito, in effetti, sostiene che nessuno può essere un grande poeta senza una specie di follìa, e la stessa cosa dice Platone. La chiami pure follia, purché ne venga fatto un elogio come nel Fedro. D'altronde, i discorsi di voi oratori nei processi, i vostri gesti stessi, possono essere veementi, elevati, eloquenti, se anche l'animo di chi parla non è alquanto commosso? In verità, spesso ho veduto in te, o, per passare a un genere meno solenne, nel tuo amico Esopo un tale ardore di espressioni del volto e di movimento, che si sarebbe detto che una forza misteriosa lo avesse tratto fuori dalla piena consapevolezza di sé.Spesso anche si presentano alla vista delle immagini che non hanno realtà alcuna, ma ne hanno l'apparenza. Ciò, si narra, accadde a Brenno e ai Galli suoi soldati, quando quel re scatenò un'empia guerra contro il tempio di Apollo delfico. Dicono che allora la Pizia parlò solennemente così dall'oracolo:"A questo provvederò io, e con me le bianche vergini."Accadde allora che delle vergini sembrassero avanzarsi armate, e che in realtà l'esercito dei Galli fosse sepolto sotto la neve. |
Cato.Faciam, ut potero, Laeli. Saepe enim interfui querellis aequalium meorum - pares autem, vetere proverbio, cum paribus facillime congregantur - quae C. Salinator, quae Sp. Albinus, homines consulares nostri fere aequales, deplorare solebant, tum quod voluptatibus carerent sine quibus vitam nullam putarent, tum quod spernerentur ab eis, a quibus essent coli soliti. Qui mihi non id videbantur accusare, quod esset accusandum. Nam si id culpa senectutis accideret, eadem mihi usu venirent reliquisque omnibus maioribus natu, quorum ego multorum cognovi senectutem sine querella, qui se et libidinum vinculis laxatos esse non moleste ferrent nec a suis despicerentur.Sed omnium istius modi querellarum in moribus est culpa, non in aetate. Moderati enim et nec difficiles nec inhumani senes tolerabilem senectutem agunt; importunitas autem et inhumanitas omni aetati molesta est. | Catone.Farò del mio meglio, Lelio. Spesso, infatti, mi sono trovato in mezzo alle lamentele dei miei coetanei - come dice un antico proverbio "il simile si accompagna più facilmente al simile" - . Come Caio Salinatore, come Spurio Albinio, ex consoli, più o meno miei coetanei, si lamentavano ora perché non provavano più quei piaceri senza i quali la vita, secondo loro, non era vita, ora perché erano disprezzati da chi, prima, li trattava con abituale deferenza! Secondo me non accusavano quel che si doveva accusare. Se infatti la vecchiaia fosse responsabile di ciò, gli stessi mali patirei io e tutti gli altri anziani; invece ho conosciuto molti che non si lamentano di esser vecchi, perché considerano tutt'altro che un dispiacere l'essersi liberati dai vincoli delle passioni e non sono guardati dall'alto in basso da amici e parenti. Ma responsabile di tutte queste lagnanze è il carattere, non l'età: i vecchi equilibrati, che non sono difficili né scontrosi, trascorrono una vecchiaia sopportabile. L'intrattabilità e la mancanza di cortesia, invece, sono un peso a tutte le età. |
Hanc autem Cethego cum ceteris controversiam fuisse dixerunt, quod Lentulo et aliis Saturnalibus caedem fieri atque urbem incendi placeret, Cethego nimium id longum videretur. Ac ne longum sit, Quirites, tabellas proferri iussimus, quae a quoque dicebantur datae. Primo ostendimus Cethego; signum cognovit. Nos linum incidimus, legimus. Erat scriptum ipsius manu Allobrogum senatui et populo sese, quae eorum legatis confirmasset, facturum esse; orare ut item illi facerent, quae sibi eorum legati recepissent.Tum Cethegus, qui paulo ante aliquid tamen de gladiis ac sicis, quae apud ipsum erant deprehensa, respondisset dixissetque se semper bonorum ferramentorum studiosum fuisse, recitatis litteris debilitatus atque abiectus conscientia repente conticuit. Introductus est Statilius; cognovit et signum et manum suam. Recitatae sunt tabellae in eandem fere sententiam; confessus est. Tum ostendi tabellas Lentulo et quaesivi, cognosceretne signum. Adnuit. "Est vero", inquam, "notum quidem signum, imago avi tui, clarissimi viri, qui amavit unice patriam et cives suos; quae quidem te a tanto scelere etiam muta revocare debuit". | I Galli riferiscono anche di una discussione sorta tra Cetego e gli altri congiurati: questi ultimi e Lentulo proponevano di fissare il massacro e l'incendio della città per i Saturnali, Cetego trovava questa data troppo lontana. Per non dilungarmi troppo, Quiriti, facciamo portare le tavolette che ciascun congiurato avrebbe scritto. Il primo a cui mostriamo il sigillo è Cetego: lo riconosce. Tagliamo lo spago, leggiamo. Aveva scritto di sua mano al Senato e al popolo degli Allobrogi che avrebbe mantenuto le promesse fatte agli ambasciatori; chiedeva agli Allobrogi di adempiere, a loro volta, agli obblighi presi dai loro rappresentanti. Allora Cetego, che sino a poco prima era riuscito a fornire spiegazioni sul rinvenimento in casa sua di spade e di pugnali, dichiarando di essere sempre stato un collezionista di armi pregiate, non appena leggiamo la sua lettera, tace di colpo, schiacciato, stroncato dalla consapevolezza del suo crimine. Viene introdotto Statilio che riconosce il suo sigillo e la sua scrittura. Gli sono lette le tavolette che presentano quasi il medesimo contenuto delle precedenti. Confessa. Allora mostro le tavolette a Lentulo e gli chiedo se riconosce il sigillo. Annuisce. "Lo riconosci certamente", gli dico. "Presenta l'effigie del tuo avo, uomo di grande valore che amò unicamente la patria e i suoi concittadini. Anche muta, questa effigie avrebbe dovuto trattenerti da un crimine così mostruoso!". |
'Sacrum commissum quod neque expiari poterit impie commissum esto; quod expiari poterit publici sacerdotes expianto.' 'Loedis publicis quod sive curriculo et <sine> certatione corporum <sive> cantu et fidibus et tibiis fiat, popularem laetitiam moderanto eamque cum divum honore iungunto.' 'Ex patriis ritibus optuma colunto.ë 'Praeter Idaeae Matris famulos eosque iustis diebus ne quis stipem cogito.' 'Sacrum sacrove commendatum qui clepsit rapsitve, parricida esto.' 'Periurii poena divina exitium, humana dedecus.' 'Incestum pontifices supremo supplicio sanciunto.' 'Impius ne audeto placare donis iram deorum.' 'Caute vota reddunto.' 'Poena violati iuris esto.' '<quocirca> Nequis agrum consecrato.' 'Auri, argenti, eboris sacrandi modus esto.' 'Sacra privata perpetua manento.' 'Deorum Manium iura sancta sunto.<Bo>nos leto datos divos habento. Sumptum in ollos luctumque minuunto.' | "Un sacrilegio commesso che non potrà essere espiato, sia come una empietà commessa; quello che potrà essere espiato, lo espiino i pubblici sacerdoti." "Nei pubblici giochi, ove avvengano, sia con corse, sia con gare ginniche, moderino la popolare letizia nel canto e nelle cetre e nei flauti, e questa uniscano alle onoranze agli dèi." "Dei patrii riti coltivino gli ottimi." "Eccetto i servi della madre Idea, e questi in giorni fissati per legge, nessuno faccia collette." "Chi ruberà o rapirà cosa sacra o consacrata, sia parricida." "Dello spergiuro pena divina sia la morte, quella umana l'infamia." "I pontefici puniscano con la pena massima l'incesto." "L'empio non osi placare l'ira divina con doni." "Vi sia cautela nel fare voti; vi sia una pena per un diritto violato. Perciò nessuno consacri campagne. Vi sia un limite nel consacrare oro, argento, avorio." "I riti privati siano perpetui." "Inviolabili siano i diritti degli dèi Mani. Considerino dèi i buoni deceduti; per essi siano ridotti la spesa ed il lutto". |
Nam illud admodum ridiculum, quod negas Deiotarum auspiciorum, quae sibi ad Pompeium proficiscenti facta sint, paenitere, quod fidem secutus amicitiamque populi Romani functus sit officio; antiquiorem enim sibi fuisse laudem et gloriam quam regnum et possessiones suas. Credo id quidem, sed hoc nihil ad auspicia; nec enim ei cornix canere potuit recte eum facere, quod populi Romani libertatem difendere pararet; ipse hoc sentiebat, sicuti sensit. Aves eventus significant aut adversos aut secundos; virtutis auspiciis video esse usum Deiotarum, quae vetat spectare fortunam, dum praestetur fides.Aves vero prosperos eventus ostenderunt, certe fefellerunt. Fugit e proelio cum Pompeio: grave tempus! Discessit ab eo: luctuosa res! Caesarem eodem tempore hostem et hospitem vidit: quid hoc tristius? Is cum ei Trocmorum tetrarchian eripuisset et adseculae suo Pergameno nescio cui dedisset eidemque detraxisset Armeniam a senatu datam, cumque ab eo magnificentissumo hospitio acceptus esset, spoliatum reliquit et hospitem et regem. Sed labor longius; ad propositum revertar. Si eventa quaerimus quae exquiruntur avibus, nullo modo prospera Deiotaro; sin officia, a virtute ipsius, non ab auspiciis petita sunt. | Quell'altra cosa, poi, è estremamente ridicola: che, secondo te, Deiòtaro non si è pentito di aver dato retta agli auspicii che ricevette al momento di partire per il campo di Pompeo, poiché, tenendo fede alla lealtà e all'amicizia col popolo romano, compì il suo dovere, e considerò più importante l'onore e la gloria che il mantenimento del suo regno e dei suoi possessi. Questo io lo credo senz'altro, ma non ha niente a che vedere con gli auspicii: non fu certo una cornacchia che col suo gracchiare poté insegnargli che faceva bene a battersi per la libertà del popolo romano: era lui che ne era convinto, come dimostrò coi fatti. Gli uccelli predicono eventi sfavorevoli o favorevoli; Deiòtaro, io vedo che ricorse agli auspicii della virtù, la quale vieta di badare alla fortuna, quando si deve tener fede alla parola data. Ché se gli uccelli gli predissero eventi favorevoli, lo ingannarono senza dubbio. Fu sconfitto in battaglia e costretto alla fuga al pari di Pompeo: tempi terribili! Si separò da lui: evento luttuoso! Accolse Cesare nello stesso tempo come nemico e come ospite: quale situazione più umiliante di questa? Cesare, dopo avergli strappato la tetrarchia dei Trocmi per darla a non so quale suo servitorello di Pergamo, dopo avergli tolto l'Armenia datagli dal senato, dopo essere stato da lui accolto con ospitalità suntuosissima, lasciò ridotto in miseria e l'ospite e il re. Ma sto divagando un po' troppo: ritornerò al mio argomento. Se badiamo agli eventi, che si cerca di prevedere in base al volo degli uccelli, gli eventi non furono in alcun modo favorevoli a Deiòtaro; se invece badiamo al compimento del dovere, esso fu suggerito a quel re dalla sua virtù, non dagli auspicii. |
Forsitan quispiam dixerit: Nonne igitur sapiens, si fame ipse conficiatur, abstulerit cibum alteri homini ad nullam rem utili? Minime vero: non enim mihi est vita mea utilior quam animi talis affectio, neminem ut violem commodi mei gratia. Quid? si Phalarim, crudelem tyrannum et immanem, vir bonus, ne ipse frigore conficiatur, vestitu spoliare possit, nonne faciat? | Forse qualcuno potrebbe dire: un sapiente, nel caso che fosse oppresso dalla fame, non potrebbe sottrarre del cibo ad un altro uomo, che non gli è di alcuna utilità? [Nient'affatto, perché la mia vita non è per me più utile di una tale disposizione dell'animo, e cioè di non far violenza ad alcuno per un mio vantaggio personale.] E allora? Se un uomo onesto, per non morire di freddo, potesse spogliare del vestito Falaride, tiranno crudele e disumano, forse che non lo farebbe? |
Neque vero hoc solum natura, id est iure gentium, sed etiam legibus populorum, quibus in singulis civitatibus res publica continetur, eodem modo constitutum est, ut non liceat sui commodi causa nocere alteri. Hoc enim spectant leges, hoc volunt, incolumem esse civium coniunctionem; quam qui dirimunt, eos morte, exsilio, vinclis, damno coercent. Atque hoc multo magis efficit ipsa naturae ratio, quae est lex divina et humana; cui parere qui velit (omnes autem parebunt, qui secundum naturam volent vivere), numquam committet, ut alienum appetat, et id, quod alteri detraxerit, sibi adsumat. | E d'altra parte questo non è stato stabilito solamente dalla natura, cioè dal diritto delle genti, ma anche dalle leggi dei popoli, sulle quali si fonda lo Stato nelle singole città, perché non sia permesso nuocere ad altri per il proprio vantaggio. A questo, infatti, mirano le leggi, questo è il loro scopo, che sia salva ed integra l'unione dei cittadini, e puniscono coloro che la rompono con la morte, l'esilio, la prigione e le multe. E questo principio è molto più un prodotto della stessa razionalità naturale, che è legge divina ed umana; colui che volesse obbedirgli (in verità dovranno obbedire tutti gli uomini che vivono secondo natura) non si renderà mai colpevole di desiderare la proprietà altrui e di prendere per sé ciò che abbia sottratto ad altri. |
Sibi habeant igitur arma, sibi equos, sibi hastas, sibi clavam et pilam, sibi natationes atque cursus, nobis senibus ex lusionibus multis talos relinquant et tesseras, id ipsum ut lubebit, quoniam sine eis beata esse senectus potest. | I giovani si tengano pure armi, cavalli, lance, clava e palla, cacce e corse; a noi vecchi lascino, tra molti giochi, gli astragali e i dadi, e dei due quelli che vogliono, perché la vecchiaia non ne ha bisogno per essere felice. |
CICERO ATTICO SAL.tuas iam litteras Brutus exspectabat. cui quidem ego [non] novum attuleram de Tereo Acci. ille Brutum putabat. sed tamen rumoris nescio quid adflaverat commissione Graecorum frequentiam non fuisse; quod quidem me minime fefellit; scis enim quid ego de Graecis ludis existimem.nunc audi quod pluris est quam omnia. Quintus fuit mecum dies compluris et, si ego cuperem, ille vel pluris fuisset; sed quam diu fuit, incredibile est quam me in omni genere delectarit in eoque maxime in quo minime satis faciebat.sic enim commutatus est totus et scriptis meis quibusdam quae in manibus habebam et adsiduitate orationis et praeceptis ut tali animo in rem publicam quali nos volumus futurus sit. hoc cum mihi non modo confirmasset sed etiam persuasisset, egit mecum accurate multis verbis tibi ut sponderem se dignum et te et nobis futurum; neque se postulare ut statim crederes sed, cum ipse perspexisses, tum ut se amares.quod nisi fidem mihi fecisset iudicassemque hoc quod dico firmum fore, non fecissem id quod dicturus sum. duxi enim mecum adulescentem ad Brutum. sic ei probatum est quod ad te scribo ut ipse crediderit, me sponsorem accipere noluerit eumque laudans amicissime mentionem tui fecerit, complexus osculatusque dimiserit. quam ob rem etsi magis est quod gratuler tibi quam quod te rogem, tamen etiam rogo ut, si quae minus antea propter infirmitatem aetatis constanter ab eo fieri videbantur, ea iudices illum abiecisse mihique credas multum adlaturam vel plurimum potius ad illius iudicium confirmandum auctoritatem tuam.Bruto cum saepe iniecissem, non perinde atque ego putaram adripere visus est. existimabam metewro(teron esse, et hercule erat et maxime de ludis. at mihi cum ad villam redissem, Cn. Lucceius qui multum utitur Bruto narravit illum valde morari non tergiversantem sed exspectantem si qui forte casus. itaque dubito an Venusiam tendam et ibi exspectem de legionibus. si aberunt, ut quidam arbitrantur, Hydruntem, si neutrum erit, eodem revertar. iocari me putas? moriar si quisquam me tenet praeter te. etenim circumspice, sed ante quam erubesco.O dies in auspicus Lepidi <lepide> descriptos et apte ad consilium | CICERONE AD ATTICOBruto aspetta oramai una lettera tua. Quello che gli ho riferito io sulla rappresentazione del "Téreo" di Accio nonera una novità. Lui credeva che si trattasse del "Bruto". Ma non so quale voce aveva messo in giro che allo spetta-coloinaugurale dei giochi greci non c'era stato molto pubblico: la qual cosa non mi ha sorpreso minimamente; delresto tu sai bene che opinione ho dei giochi greci!Ora ascolta quello che conta più di tutto. Quinto è stato da me parecchi giorni, e, se l'avessi desiderato, ci sarebberimasto anche di più: ma, per tutto il tempo che è restato, è incredibile quanto mi abbia fatto piacere qualunque ar-gomentotrattasse, specialmente quando toccava quelli per cui prima non ero affatto d'accordo con lui. In effetti, ècambiato da cima a fondo, in parte a motivo di alcuni miei lavori che avevo per le mani, in parte per le continueconversazioni che abbiamo avuto e per i consigli che gli ho dato, così che le sue convinzioni politiche si avviano aessere conformi alle nostre aspirazioni. Dopo avermene non solo dato conferma, ma anche dimostrazione, mi si èrivolto con un lungo e convinto discorso perché garantissi a te che sarà degno di entrambi noi. E ha detto che nonpretendeva che tu gli credessi subito, ma che-dopo aver preso contatto con lui di persona-gli offrissi poi il tuoaffetto. Se non mi avesse offerto delle premesse soddisfacenti e se io non avessi verificato quello che sto dicendo,non avrei fatto quello che sto per dire. Ho portato infatti con me il giovane da Bruto. A tal punto lui si è persuaso diquello di cui ti scrivo, che l'ha creduto per suo conto rifiutando ogni mia garanzia, e rallegrandosi con Quinto hafatto menzione di te con grande simpatia e l'ha congedato abbracciandolo cordialmente. Per questi motivi, anche seè piuttosto il caso di congratularmi con te, anziché di rivolgerti una qualche richiesta, io ti rivolgo però lo stesso larichiesta di considerare per certo che ha ripudiato ogni posizione che eventualmente avesse dato l'impressione diavere accettato con minore ponderatezza a causa dell'inesperienza dei suoi anni; e di credermi che molto conterà,anzi sarà determinante per confermarlo nelle sue convinzioni il peso di quello che potrai dirgli.Per quanto abbia spesso suggerito a Bruto la possibilità di fare insieme il viaggio per mare, non mi sembra cheabbia afferrato l'idea nella misura che mi immaginavo. Mi aveva l'aria di essere alquanto distratto, e accidenti se loera, soprattutto per via dei giochi. Ma dopo il ritorno in villa, Cneo Luccio - che è molto intimo di Bruto - mi ha spiegato che lui è realmente fermo non perché intenda tergiversare, ma perché aspetta un eventuale miglioramento.Perciò dubito se muovermi verso Venosa e aspettare lì ragguagli sulle truppe. Se non ci saranno, come ritiene qual-cuno,partirò per Otranto; se nessuna delle due soluzioni sarà sicura, ritornerò dove sei tu. Pensi che stia scherzan-do?Possa morire se ci sono altri che te a trattenermi da queste parti! Guardati pure attorno, ma prima che arros-sisca...O giorni lepidamente individuati da Lepido per l'inaugurazione del suo pontificato massimo e in manieratanto adatta al mio programma di ritorno! Nella tua lettera c'è un grosso incentivo a farmi partire. Ci fossi anche tu!Ma vedrai tu se è il caso o meno.Aspetto una comunicazione da parte di Cornelio Nepote. Ansioso lui di cose mie? Ma se non ritiene degne dilettura quelle di cui vado più orgoglioso! E tu citi Omero per dire che è come Aiace e viene subito "dopo il Pelidesenza macchia"! Il "senza macchia" sei tu, quello semmai è un "immortale"... Non esiste nessuna raccolta di mielettere; ma Tirone ne conserva circa una settantina, e un certo numero vanno recuperate da te. Conviene che lericontrolli, le corregga, eccetera. Solo allora si potranno pubblicare. |
Cum hoc Catone grandiores natu fuerunt C. Flaminius C. Varro Q. Maximus Q. Metellus P. Lentulus P. Crassus, qui cum superiore Africano consul fuit. ipsum Scipionem accepimus non infantem fuisse. filius quidem eius, is qui hunc minorem Scipionem a Paulo adoptavit, si corpore valuisset, in primis habitus esset disertus; indicant cum oratiunculae tum historia quaedam Graeca scripta dulcissime. | Contemporanei più anziani di Catone furono Gaio Flaminio, Gaio Varrone, Quinto Massimo, Quinto Metello, Publio Lentulo e Publio Crasso, che fu console insieme al primo Africano. Dello stesso Scipione si tramanda che non gli mancasse la favella; ma suo figlio, quello che adottò da Paolo quest'altro Scipio ne a noi più vicino, il Minore, se avesse goduto di buona salute sarebbe stato ritenuto facondo come pochi: lo indicano certe orazioncine, e una storia in greco, scritta in uno stile piacevolissimo. |
Tum Brutus: cum ex tua oratione mihi videor, inquit, bene Crassum et Scaevolam cognovisse, tum de te et de Ser. Sulpicio cogitans esse quandam vobis cum illis similitudinem iudico. Quonam, inquam, istuc modo? Quia mihi et tu videris, inquit, tantum iuris civilis scire voluisse quantum satis esset oratori et Servius eloquentiae tantum adsumpsisse, ut ius civile facile possit tueri; aetatesque vostrae ut illorum nihil aut non fere multum differunt. | E Bruto: "Mi pare che il tuo discorso," disse "mi abbia fatto conoscere bene Crasso e Scevola; e inoltre, pensando a te e a Servio Sulpicio credo che vi sia una certa vostra somiglianza con loro". "Come sarebbe?" dissi. "Perché mi sembra" spiegò "che tu abbia voluto sapere di diritto civile quel tanto che era sufficiente a un oratore, e che Servio abbia appreso di eloquenza quel tanto che ci voleva a far valere senza difficoltà il diritto civile; e le vostre età, come le loro, non differiscono per niente, o non di tanto . " |
Tullius s.d. Terentiae et Tulliae et Ciceroni suis.Ego minus saepe do ad vos litteras, quam possum, propterea quod cum omnia mihi tempora sunt misera, tum vero, cum aut scrivo ad vos aut vestras lego, conficior lacrimis sic, ut ferre non possim. Quod utinam minus vitae cupidi fuissemus! Certe nihil aut non multm in vita mali vidissemus. Quod si nos ad aliquam alicuius commodi aliquando recuperandi spem fortuna reservavit, minus est erratum a nobis; si haec mala fixa sunt, ego vero te quam primum, mea vita, cupio videre et in tuo complexu emori, quoniam neque di, quos tu castissime coluisti, neque homines, quibus ego semper servivi, nobis gratiam rettulerunt.Nos Brundisii apud M. Laenium Flaccum dies XIII fuimus, virum optimum, qui periculum fortunarum et capitis sui prae mea salute negrexit neque legis improbissimae poena deductus est, quo minus hospitii et amicitiae ius officiumque praestaret: huic utinam aliquando gratiam referre prossimus! Habebimus quidem semper. Brundisio profecti sumus ante diem II Kalendas Maias: per Macedoniam Cyzicum petebamus. O me perditum! O afflictum! Quid enim? Rogem te, ut venias? Mulierem aegram, et corpore et animo confectam. Non rogem? Sine te igitur sim? Opinor, sic agam: si est spes nostri reditus, eam confirmes et rem adiuves; sin, ut ego metuo, transactum est, quoquo modo potes ad me fac venias. Unum hoc scito: si te habebo, non mihi videbor plane perisse. | Tullio saluta la sua Terenzia e i suoi Tullia e Cicerone.Io vi mando lettere meno spesso di quanto potrei, poiché, o perché tutti i momenti sono infelici per me, o quando vi scrivo oppure leggo le vostre (lettere), allora sì che sono abbattuto dalle lacrime, tanto da non poter(lo) tollerare. Magari fossi stato meno desideroso di vita! Certamente nella vita non avrei visto nessun male o non molto. Se dunque la sorte mi avesse riservato per qualche speranza di recuperare un giorno qualche vantaggio, avrei sbagliato di meno; se questi mali sono immutabili, in verità io desidero vederti, vita mia, il prima possibile e morire nel tuo abbraccio; dal momento che né gli dei, che tu hai purissimamente adorato, né gli uomini, che io ho sempre servito, mi hanno aiutato. Rimasi a Brindisi per tredici giorni, presso M. Lenio Flacco, uomo straordinario che trascurò il rischio dei suoi beni e della sua via per la mia salvezza e che non ha tralasciato a causa della pena di una legge molto ingiusta di adempiere meno al diritto e dovere dell'ospitalità e dell'amicizia. Voglia il cielo che un giorno possa rendergli grazie! Senza dubbio avrò sempre gratitudine. Sono partito da Brindisi due giorni prima delle Calende di Maggio. Ci dirigevamo a Cizico,tramite la Macedonia. O me perduto! O me afflitto! Come potrei chiederti di venire, moglie malata e distrutta nel corpo e nell'anima? Non dovrei chiedertelo? Dunque dovrei rimanere senza di te? Penso che agirò così: se c'è una speranza di un mio ritorno, confermala e asseconda la circostanza; se invece, come io temo, non c'è più nulla da fare, in qualsiasi modo puoi, fai in modo di venire da me. Sappi solo questo: se ti avrò, non mi sembrerà di essere morto del tutto. |
Et quoniam officia non eadem disparibus aetatibus tribuuntur aliaque sunt iuvenum, alia seniorum, aliquid etiam de hac distinctione dicendum est. Est igitur adulescentis maiores natu vereri exque iis deligere optimos et probatissimos, quorum consilio atque auctoritate nitatur; ineuntis enim aetatis inscitia senum constituenda et regenda prudentia est. Maxime autem haec aetas a libidinibus arcenda est exercendaque in labore patientiaque et animi et corporis, ut eorum et in bellicis et in civilibus officiis vigeat industria.Atque etiam cum relaxare animos et dare se iucunditati volent, caveant intemperantiam, meminerint verecundiae, quod erit facilius, si in eiusmodi quidem rebus maiores natu nolent interesse. | Ancora. Le diverse età non hanno gli stessi doveri: altri sono i doveri dei giovani, altri quelli dei vecchi. A proposito di questa distinzione conviene perciò dire qualche cosa. È dovere del giovane rispettare gli anziani, scegliendo tra essi i più specchiati e stimati, per appoggiarsi al loro autorevole consiglio; perché l'inesperienza giovanile ha bisogno di essere sorretta e guidata dalla saggezza dei vecchi. E soprattutto bisogna tener lontani i giovani dai piaceri sensuali, ed esercitarli nel tollerare le fatiche e i travagli dell'animo e del corpo, sì che possano adempiere con vigorosa energia i loro doveri militari e civili. E anche quando vorranno allentare lo spirito e abbandonarsi alla letizia, si guardino dall'intemperanza e si ricordino del pudore; cosa che riuscirà loro tanto più facile se non impediranno che a ricreazioni di tal genere assistano gli anziani. |
Ac mihi quidem videtur, iudices, hic introitus defensionis adulescentiae M. Caeli maxime convenire, ut ad ea, quae accusatores deformandi huius causa, detrahendae spoliandaeque dignitatis gratia dixerunt, primum respondeam. Obiectus est pater varie, quod aut parum splendidus ipse aut parum pie tractatus a filio diceretur. De dignitate M. Caelius notis ac maioribus natu et sine mea oratione et tacitus facile ipse respondet; quibus autem propter senectutem, quod iam diu minus in foro nobiscumque versatur, non aeque est cognitus, ii sic habeant, quaecumque in equite Romano dignitas esse possit, quae certe potest esse maxima, eam semper in M.Caelio habitam esse summam hodieque haberi non solum a suis, sed etiam ab omnibus, quibus potuerit aliqua de causa esse notus. | Ma a me, in verità, sembra, o giudici, che questo esordio convenga soprattutto alla difesa del giovane Marco Celio, affinché io risponda per prima cosa contro queste cose, che gli accusatori dissero per screditare costui, per ridurre e togliere (+Acc. della persona, +Abl. della cosa) la dignità. E’ stato screditato il padre variamente, poiché (causale soggettiva) o veniva detto (costruzione personale, sintassi del nominativo) lui stesso troppo borioso o troppo poco devotamente trattato dal figlio(Abl. d’Agente). Riguardo il valore, Marco Celio nato da noti e famosi, sia senza un mio intervento sia in silenzio (predicativo) in prima persona facilmente risponde; poi a causa dell’età, poiché (causale) per poco tempo si intrattiene nel foro e con noi, da costoro (Agente) non equamente è stato conosciuto, questi così ritengano (Congiuntivo Esortativo) qualunque possa essere la dignità in un cavaliere romano, che certamente può essere sommo, tale in Marco Celio è stata posseduta somma (complemento predicativo dell’oggetto) e al giorno d’oggi sia giudicato non solo dai suoi, ma anche da tutti, ai quali potesse essere noto per un’altra causa. |
Cicero Marco Varroni suo salutem dicit.Ex iis litteris, quas Atticus a te missas mihi legit, quid ageres et ubi esses, cognovi; quando autem te visuri essemus, nihil sane ex iisdem litteris potui suspicari. In spem tamen venio appropinquare tuum adventum: qui mihi utinam solatio sit! etsi tot tantisque rebus urgemur, nullam ut allevationem quisquam non stultissimus sperare debeat; sed tamen aut tu potes me aut ego te fortasse aliqua re iuvare; scito enim me, posteaquam in urbem venerim, redisse cum veteribus amicis, id est cum libris nostris, in gratiam; etsi non idcirco eorum usum dimiseram, quod iis suscenserem, sed quod eorum me suppudebat; videbar enim mihi, cum me in res turbulentissimas infidelissimis sociis demisissem, praeceptis illorum non satis paruisse.Ignoscunt mihi, revocant in consuetudinem pristinam teque, quod in ea permanseris, sapientiorem quam me dicunt fuisse. Quamobrem, quoniam placatis iis utor, videor sperare debere, si te viderim, et ea, quae premant, et ea, quae impendeant, me facile transiturum. Quamobrem, sive in Tusculano sive in Cumano ad te placebit sive, quod minime velim, Romae, dummodo simul simus, perficiam profecto, ut id utrique nostrum commodissimum esse videatur. | Cicerone saluta il suo M. Varrone.Da quelle lettere che, inviate da te, Attico mi ha letto, ho saputo cosa stavi facendo e dove ti trovavi; mentre non ho potuto proprio immaginare dalle stesse lettere quando ti vedremo. Tuttavia spero che la tua venuta si avvicini: voglia il cielo che questo mi sia di consolazione! Sebbene siamo tormentati da tante e così grandi cose, chiunque non sia stoltissimo dovrebbe sperare in qualche sollievo; ma tuttavia o tu puoi essermi forse utile in qualche cosa, o io (posso essere utile) a te; infatti sappi che, dopo essere giunto in città, mi sono riconciliato con i nostri vecchi amici, cioè con i nostri libri, sebbene non avessi trascurato l'uso di essi per questo, cioè poiché fossi adirato con loro, ma poiché me ne vergognavo; poiché mi abbassai a fatti molto burrascosi con infedelissimi compagni, mi sembrava di non aver obbedito abbastanza ai loro precetti. Mi perdonano, (mi) richiamano alla consuetudine passata e mi dicono che tu, poiché sei rimasto con loro, sei stato più saggio di me. Perciò, poiché io li utilizzo dopo che si sono riappacificati (con me), sembra che io debba sperare di oltrepassare, se ti vedrò, sia le cose che opprimono, sia quelle che sono imminenti. Perciò, sia che ti piaccia (farlo) a Toscolano, sia nei pressi di Cuma, sia, cosa che io vorrei pochissimo, a Roma, poiché siamo insieme, porterò a termine di sicuro il fatto (di vederci) affinché sembri ad ognuno di noi che sia una cosa molto comoda. |
Marcus:Quin igitur ad illa spatia nostra sedesque pergimus? Ubi, cum satis erit ambulatum, requiescemus, nec profecto nobis delectatio deerit, aliud ex alio quaerentibus.Atticus:Nos vero, et hac quidem ad <L>irem, si placet, per ripam et umbram. Sed iam ordire explicare, quaeso, de iure civili quid sentias.Marcus:Egone? Summos fuisse in civitate nostra viros, qui id interpretari populo et responsitare soliti sint, sed eos magna professos in parvis esse versatos.Quid enim est tantum quantum ius civitatis? Quid autem tam exiguum quam est munus hoc eorum qui consuluntur? Quam<quam> est [populo] necessarium, nec vero eos, qui ei muneri praefuerunt, universi iuris fuisse expertis existimo, sed hoc civile quod vocant eatenus exercuerunt, quoad populo praestare voluerunt; id autem in cogniti<one> tenue est, in usu necessarium. Quam ob rem quo me vocas, aut quid hortaris? ut libellos conficiam de stillicidiorum ac de parietum iure? An ut stipulationum et iudiciorum formulas conponam? Quae et conscripta a multis sunt diligenter, et sunt humiliora quam illa quae a nobis exspectari puto. | Marco:Perché allora non ci avviamo alla nostra passeggiata ed a quei sedili? In quel posto ci potremo riposare dopo aver passeggiato abbastanza, e non ci mancherà certo l'occasione di essere soddisfatti affrontando svariate questioni.Attico:Noi siamo pienamente d'accordo, ed anzi da questa parte andiamo verso il Liri, se vi sta bene, lungo la riva ed all'ombra. Ma incomincia ora a spiegare, ti prego, il tuo pensiero sul diritto civile.Marco:Devo farlo proprio io? Penso che già ci furono nella nostra città grandissimi uomini, che erano soliti spiegarlo al popolo e facevano i consulenti legali; ma essi, pur promettendo grandi cose, si occuparono di argomenti poco importanti. Che c'è infatti di così importante come il diritto pubblico? E che cosa tanto modesto come il compito di quelli che danno consulenze, anche se esso è necessario al pubblico? Io non credo affatto che quanti si segnalarono in tale professione siano stati ignoranti di diritto generale, ma si occuparono di quello, così detto civile, entro i limiti in cui vollero fare cosa utile al popolo. E questo, per quanto concerne la dottrina, è un fatto di poco conto, sebbene necessario nella vita pratica. Perciò a che m'inviti o a che cosa mi esorti? A confezionare libercoli sugli stillicidi di acqua o sui diritti connessi ai muri? O che metta insieme formule di contratti e di sentenze? Tutte cose di cui molti hanno scritto diligentemente e che sono di portata minore rispetto a quelle che penso si debba attendere da noi. |
quam captiosum esse populo quod scriptum esset neglegi et opinione quaeri voluntates et interpretatione disertorum scripta simplicium hominum pervertere? | Sulla fonte di circonvenzioni che per il popolo avrebbe rappresentato il fatto di trascurare quanto era scritto, di indagare per congettura le volontà, e di travisare gli scritti di gente semplice mediante l'interpretazione di uomini facondi? |
Proximum autem est de suifragiis, quae iubeo nota esse optimatibus, populo libera.Atticus:Ita mehereule attendi, nec satis intellexi quid sibi lex aut quid verba ista vellent.Marcus:Dicam Tite et versabor in re difficili ac multum et saepe quaesita, suffragia in magistratu mandando ac de reo iudicando <sciscenda>que in lege aut rogatione clam an palam ferri melius esset.Quintus:An etiam id dubium est? Vereor ne a te rursus dissentiam.Marcus:Non facies Quinte.Nam ego in ista sum sententia qua te fuisse semper scio, nihil ut fuerit in suffragiis voce melius; sed optineri an possit videndum est. | II prossimo argomento riguarda le votazioni, di cui vorrei che gli ottimati fossero informati, e libere al popolo.Attico:Così ho inteso, ma non mi è stato abbastanza chiaro che cosa volesse dire questa legge o queste parole.Marco:Lo dirò, Tito, e dovrò trattenermi su un argomento difficile, molto e spesso dibattuto, se sia meglio cioè il voto segreto o quello pubblico nell'elezione di un magistrato o nel giudicare un imputato e nel proporre o decretare una legge.Quinto:Ma c'è da dubitarne? Temo di non essere nuovamente d'accordo con te.Marco:Non lo sarai, Quinto. Infatti io ho quest'opinione che so essere sempre stata condivisa da te, cioè che nelle votazioni nulla vi sarebbe di meglio della dichiarazione verbale; ma occorre che si accerti se sussistano le condizioni perché si possa fare. |
His enim rebus inbutae mentes haud sane abhorrebunt ab utili aut a vera sententia. Quid est enim verius quam neminem esse oportere tam stulte adrogantem, ut in se rationem et mentem putet inesse, in caelo mundoque non putet? Aut ut ea quae vix summa ingenii ratione moveri putet? Quem vero astrorum ordines, quem dierum noctiumque vicissitudines, quem mensum temperatio, quemque ea quae gignuntur nobis ad fruendum, non gratum esse cogunt, hunc hominem omnino numerari qui decet? Quomque omnia quae rationem habent praestent iis quae sint rationis expertia, nefasque sit dicere ullam rem praestare naturae omnium rerum, rationem inesse in ea confitendum est.Utilis esse autem has opiniones quis neget, quom intellegat quam multa firmentur iure iurando, quantae saluti sint foederum religiones, quam multos divini supplicii metus a scelere revocarit, quamque sancta sit societas civium inter ipsos, diis inmortalibus interpositis tum iudicibus <tum> testibus? Habes legis prooemium; sic enim haec appellat Plato. | e se gli animi assorbiranno questi principi, è certo che non si allontaneranno mai da idee valide e veraci. Cosa vi è infatti di più vero del fatto che nessuno debba essere superbo in una forma tanto sciocca, da credere di avere dentro di sé intelletto e ragione, e negarlo nel cielo e nel mondo? O da pensare che [nessuna] mente governi il movimento di quegli oggetti che a mala pena [possono essere conosciuti da una mente] sia pure di grandissima capacità? Perché mai conviene includere tra gli uomini uno che non si senta costretto alla gratitudine dall'ordine degli astri, dall'alternarsi dei giorni e delle notti, dal variare della temperatura e da tutto ciò che nasce per il nostro vantaggio? In fondo, poiché tutto ciò che è fornito di ragione è superiore a ciò che è privo della ragione, e non è lecito affermare che una singola individualità sia superiore all'universale, si dovrebbe aver fiducia che esista in questa universale natura l'esistenza di una ragione. E chi negherebbe che queste idee siano valide, se ci rendiamo conto di quanti patti si rafforzano con un giuramento, quanto vantaggio apportino gli accordi solenni, quanti siano quelli allontanatisi dalla colpa per il timore della punizione divina, e quanto sia sacra l'unione dei cittadini, quando fra di loro si inseriscono gli stessi dèi immortali, talora come giudici, talora come testimoni? Ecco qui il fondamento della legge; così infatti lo definisce Platone. |
Hoc loco Brutus: quando quidem tu istos oratores, inquit, tanto opere laudas, vellem aliquid Antonio praeter illum de ratione dicendi sane exilem libellum, plura Crasso libuisset scribere: cum enim omnibus memoriam sui tum etiam disciplinam dicendi no bis reliquissent. nam Scaevolae dicendi elegantiam satis ex iis orationibus, quas reliquit, habemus cognitam. | E Bruto, a questo punto: "Dal momento che lodi tanto questi oratori," disse "vorrei che ad Antonio fosse piaciuto di scriver qualcosa, oltre a quel libretto davvero scarno sull'arte retorica, e a Crasso di scrivere di più: non solo avrebbero lasciato a tutti il loro ricordo, ma a noi anche un insegnamento di eloquenza. Difatti l'eleganza di Scevola la conosciamo a sufficienza da quei discorsi che ha lasciato". |
Itaque miror, quid in mentem venerit Theophrasto, in eo libro, quem de divitiis scripsit, in quo multa praeclare, illud absurde: est enim multus in laudanda magnificentia et apparitione popularium munerum taliumque sumptuum facultatem fructum divitiarum putat. Mihi autem ille fructus liberalitatis, cuius pauca exempla posui, multo et maior videtur et certior. Quanto Aristoteles gravius et verius nos reprehendit, qui has pecuniarum effusiones non admiremur, quae fiunt ad multitudinem deleniendam.At ii,qui ab hoste obsidentur, si emere aquae sextarium cogerentur mina, hoc primo incredibile nobis videri omnesque mirari, sed cum adtenderint, veniam necessitati dare, in his immanibus iacturis infinitisque sumptibus nihil nos magnopere mirari, cum praesertim neque necessitati subveniatur nec dignitas augeatur ipsaque illa delectatio multitudinis ad breve exiguumque tempus capiatur eaque a levissimo quoque, in quo tamen ipso una cum satietate memoria quoque moriatur voluptatis. | Perciò mi meraviglio di quel pensiero che è venuto in mente a Teofrasto nel suo libro sulle ricchezze, in cui ha detto molte cose egregiamente, ma è assurdo questo: è largo, infatti, di lodi per la magnificenza e lo sfarzo delle feste popolari e ritiene frutto delle ricchezze la possibilità di tali allestimenti. A me, invece, quel frutto della generosità di cui ho fornito pochi esempi sembra molto più grande e sicuro. Con quale maggiore serietà e verità Aristotele ci mette in guardia perché non ammiriamo questi sperperi di denaro, che non hanno altro scopo che adescare il popolo. Dice infatti che:se degli assediati dal nemico fossero costretti a comprare un quartino d'acqua al prezzo d'una mina, sulle prime questo ci sembrerebbe incredibile e tutti si meraviglierebbero, ma, ripensandoci, farebbero una concessione alla necessità; noi, invece, non ci meravigliamo affatto di questi eccessivi sprechi e infinite spese, tanto più che così non veniamo incontro ad alcune necessità, e non si accresce la nostra dignità, e quel gran divertimento della moltitudine per breve ed esiguo tempo, ed è goduto dalla gente di rango più basso, in cui, insieme con la sazietà, si spegne anche il ricordo del piacere. |
Sunt eius orationes ieiunae; multa praeclara de iure; doctus vir et Graecis litteris eruditus, Panaeti auditor, prope perfectus in Stoicis; quorum peracutum et artis plenum orationis genus scis tamen esse exile nec satis populari adsensioni adcommodatum. itaque illa, quae propria est huius disciplinae, philosophorum de se ipsorum opinio firma in hoc viro et stabilis inventa est. | Le sue orazioni sono scarne; contengono però importanti riflessioni in materia giuridica; era un uomo dotto e colto nelle lettere greche allievo di Panezio, con una competenza pressoché perfetta nella dottrina stoica. Il genere di eloquenza degli stoici, eccezionalmente sottile e ricco di abilità tecnica, è tuttavia, lo sai bene, arido e poco adatto ai gusti del popolo. Pertanto quell'alta opinione di sé, che è tipica dei filosofi di questa scuola, si manifestò in quest'uomo salda e incrollabile. |
Hic tu, Africane, ostendas oportebit patriae lumen animi, ingenii consiliique tui. Sed eius temporis ancipitem video quasi fatorum viam. Nam cum aetas tua septenos octiens solis anfractus reditusque converterit duoque hi numeri, quorum uterque plenus alter altera de causa habetur, circuitu naturali summam tibi fatalem confecerint, in te unum atque in tuum nomen se tota convertet civitas; te senatus, te omnes boni, te socii, te Latini intuebuntur; tu eris unus, in quo nitatur civitatis salus, ac, ne multa, dictator rem publicam constituas oportet, si impias propinquorum manus effugeris" ».Hic cum exclamasset Laelius ingemuissentque vehementius ceteri: «St! Quaeso», inquit, «Ne me ex somno excitetis et parumper audite cetera! | A questo punto, Africano, dovrai mostrare alla patria la luce del tuo coraggio, del tuo ingegno e della tua saggezza. Ma di quel tempo scorgo la via del destino, per così dire, volta in due direzioni. Infatti quando la tua età avrà compiuto per otto volte sette giri e rivoluzioni del Sole, e questi due numeri, l'uno e l'altro dei quali, l'uno per una ragione e l'altro per l'altra, sono considerati perfetti, con il percorso a loro naturale avranno compiuto la somma stabilita per te dal fato, tutto lo stato si volgerà fiducioso a te solo e al tuo nome, guarderanno a te il senato, tutti gli onesti, gli alleati, i Latini, tu sarai il solo su cui potrà poggiare la salvezza della città; e per non dire di più: occorrerà che tu come dittatore ordini lo stato, se riuscirai a sfuggire alle empie mani dei tuoi parenti" ». A questo punto dopo che Lelio ebbe lanciato un grido e che gli altri si furono lamentati con più forza, Scipione disse con un dolce sorriso: «Zitti! Vi prego, non mi destate dal sonno e ascoltate un po' il resto! |
Quid enim spectans deus ipse diceret Marcellum eum, qui ter consul fuit, in mari esse periturum? Erat hoc quidem verum ex aeternitate, sed causas id efficientis non habebat. Ita ne praeterita quidem ea, quorum nulla signa tamquam vestigia extarent, Apollini nota esse censebat; quanto minus futura, causis enim efficientibus quamque rem cognitis posse denique sciri quid futurum esset; ergo nec de Oedipode potuisse Apollinem praedicere nullis in rerum natura causis praepositis, cur ab eo patrem interfici necesse esset, nec quicquam eius modi.Quocirca, si Stoicis, qui omnia fato fieri dicunt, consentaneum est huiusmodi oracula ceteraque, quae ad divinationem pertinent, comprobare, eis autem qui, quae futura sunt ea vera esse ex aeternitate dicunt non idem dicendum est, vide ne non eadem sit illorum causa et Stoicorum; hi enim urguentur angustius, illorum ratio soluta ac libera est. | Che cosa teneva infatti presente il dio stesso, quando annunciava che quel famoso Marcello, colui che fu tre volte console, sarebbe perito in mare? Ciò era, in effetti, vero dall'eternità, ma non aveva cause efficienti. Così, Carneade era dell'avviso che ad Apollo non fosse noto neppure il passato, quando non ne rimanessero tracce, quasi come orme: figuriamoci il futuro! Solo conoscendo le cause efficienti di ciascun fatto, si può, in sostanza, conoscere che cosa accadrà. Nemmeno riguardo a Edipo, quindi, Apollo avrebbe potuto prevedere niente, perché nella natura non ci sono cause preordinate, sulla cui base il padre dovesse necessariamente essere ucciso dal figlio, né altro del genere. Di conseguenza, se per gli stoici, i quali sostengono che tutto avviene per volere del fato, è coerente approvare oracoli di tal sorta e tutti gli altri esiti che si traggono dalla divinazione, non è invece d'obbligo la stessa ammissione per coloro i quali affermano che sono vere dall'eternità le cose a venire: sta' però attento che la posizione di questi ultimi non sia la stessa degli stoici: gli uni argomentano infatti su un campo più ristretto, mentre il ragionamento degli altri è sciolto e libero. |
Sed incidunt, ut supra dixi, saepe causae, cum repugnare utilitas honestati videatur, ut animadvertendum sit, repugnetque plane an possit cum honestate coniungi. Eius generis hae sunt quaestiones: Si exempli gratia vir bonus Alexandrea Rhodum magnum frumenti numerum advexerit in Rhodiorum inopia et fame summaque annonae caritate, si idem sciat complures mercatores Alexandrea solvisse navesque in cursu frumento onustas petentes Rhodum viderit, dicturusne sit id Rhodiis an silentio suum quam plurimo venditurus? Sapientem et bonum virum fingimus; de eius deliberatione et consultatione quaerimus, qui celaturus Rhodios non sit, si id turpe iudicet, sed dubitet, an turpe non sit. | Ma, come ho detto sopra, vi sono dei casi in cui l'utilità sembra in conflitto con l'onestà, cosicché occorre considerare se sia veramente in contrasto o possa venire identificata con l'onestà. Ecco i problemi di questo tipo: se, per esempio, un uomo onesto avesse importato da Alessandria a Rodi una grande quantità di frumento in un periodo di miseria e di carestia dei Rodiesi e di prezzi altissimi, e venisse a sapere che parecchi mercanti sono salpati da Alessandria e, lungo la rotta, avesse visto navi cariche di frumento dirigersi verso Rodi, dovrebbe dirlo ai Rodiesi o, tacendo, dovrebbe vendere al prezzo più alto il suo frumento? Immaginiamo un uomo saggio e onesto e ci poniamo il problema delle decisioni e delle considerazioni di lui, che non vorrebbe lasciare all'oscuro i Rodiesi, se ritenesse ciò un'azione vergognosa, ma potrebbe essere in dubbio se la cosa sia deprecabile o no. |
Utinam in Ti. Graccho Gaioque Carbone talis mens ad rem publicam bene gerendam fuisset quale ingenium ad bene dicendum fuit: profecto nemo his viris gloria praestitisset. sed eorum alter propter turbulentissumum tribunatum, ad quem ex invidia foederis Numantini bonis iratus accesserat, ab ipsa re publica est interfectus; alter propter perpetuam in populari ratione levitatem morte voluntaria se a severitate iudicum vindicavit. sed fuit uterque summus orator. | Oh, se in Tiberio Gracco e in Gaio Carbone al talento per il ben parlare si fosse accompagnata una pari disposizione a ben governare lo stato! Certo nessuno avrebbe superato la gloria di questi uomini. Invece l'uno dallo stato stesso venne ucciso, a causa del suo turbolentissimo tribunato, al quale era arrivato carico d'ira contro la gente di buon sentire, per il risentimento in lui suscitato dalla vicenda del trattato di Numanzia; l'altro, per la continua irresponsabilità della sua azione nella parte popolare, si sottrasse con una morte volontaria alla severità dei giudici. Ma furono, tutti e due, oratori sommi. |
Ergo ad fidem bonam statuit pertinere notum esse emptori vitium, quod nosset venditor. Quod si recte iudicavit, non recte frumentarius ille, non recte aedium pestilentium venditor tacuit. Sed huiusmodi reticentiae iure civili comprehendi non possunt; quae autem possunt diligenter tenentur. M. Marius Gratidianus, propinquus noster, C. Sergio Oratae vendiderat aedes eas, quas ab eodem ipse paucis ante annis emerat. Eae serviebant, sed hoc in mancipio Marius non dixerat; adducta res in iudicium est.Oratam Crassus, Gratidianum defendebat Antonius. Ius Crassus urgebat, "quod vitii venditor non dixisset sciens, id oportere praestari", aequitatem Antonius, "quoniam id vitium ignotum Sergio non fuisset, qui illas aedes vendidisset, nihil fuisse necesse dici nec eum esse deceptum, qui id, quod emerat, quo iure esset, teneret". Quorsus haec? Ut illud intellegas, non placuisse maioribus nostris astutos. | Ritenne, pertanto, che appartenesse alla "buona coscienza" la conoscenza, da parte dell'acquirente, dei difetti noti al venditore. Se il suo giudizio è stato giusto, hanno avuto torto a tacere sia il mercante di grano che il venditore di quella casa malsana. Ma reticenze di tale specie non possono essere abbracciate dal diritto civile; quante lo possono, sono perseguite rigorosamente. Marco Mario Gratidiano, nostro parente, aveva venduto a Gaio Sergio Orata la stessa casa che aveva acquistato da lui pochi anni prima. Essa era gravata di una servitù, ma nel contratto Mario non l'aveva dichiarato. La questione fu portata in tribunale: Crasso difendeva Orata, Gratidiano era difeso da Antonio. Crasso invocava la legge, secondo cui "il venditore deve rispondere di quei difetti che, pur essendo a lui noti, non sono stati da lui dichiarati", Antonio l'equità, "poiché quel difetto non era ignoto a Sergio, che aveva già venduto quella casa, non era necessaria una dichiarazione, né era stato ingannato chi ben conosceva la situazione giuridica di ciò che comprava". A quale scopo ti dico questo? Perché tu capisca che ai nostri padri non piacevano i furbi. |
Sed ea, quae exaudio, patres conscripti, dissimulare non possum. Iaciuntur enim voces, quae perveniunt ad auris meas eorum, qui vereri videntur, ut habeam satis praesidii ad ea, quae vos statueritis hodierno die, transigunda. Omnia et provisa et parata et constituta sunt, patres conscripti, cum mea summa cura atque diligentia, tum etiam multo maiore populi Romani ad summum imperium retinendum et ad communes fortunas conservandas voluntate. Omnes adsunt omnium ordinum homines, omnium generum, omnium denique aetatum; plenum est forum, plena templa circum forum, pleni omnes aditus huius templi ac loci.Causa est enim post urbem conditam haec inventa sola, in qua omnes sentirent unum atque idem praeter eos, qui cum sibi viderent esse pereundum, cum omnibus potius quam soli perire voluerunt. | Tuttavia, padri coscritti, non posso nascondere quanto sento dire. Ci sono in giro voci che arrivano sino a me: a quanto pare, alcuni temono che io non disponga di mezzi sufficienti per eseguire quanto voi deciderete oggi. Ogni cosa è stata prevista, disposta, sistemata, padri coscritti, non solo con tutto l'impegno e lo zelo di cui sono capace, ma soprattutto grazie al desiderio del popolo romano di difendere la sua sovranità e di conservare i beni comuni. Tutti sono venuti qui, uomini di ogni classe, condizione, età! Pieno è il Foro, pieni i templi intorno al Foro, piena ogni strada che porta a questo tempio. Dai tempi della fondazione di Roma, è questa l'unica circostanza in cui tutti nutrono gli stessi intendimenti, a eccezione di chi, accorgendosi di essere a un passo dalla fine, ha deciso di morire insieme a tutti gli altri piuttosto che da solo. |
Atticus:Quid? De iure populi Romani, quem ad modum instituisti, dicendum nihil putas?Marcus:: Quid tandem hoc loco est quod requiras?Atticus:Egone? Quod ignorari ab iis qui in re publica versantur turpissimum puto. Nam ut modo a te dictum est leges a librariis peti, sic animadverto <ple>rosque in magistratibus ignoratione iuris sui tantum sapere quantum apparitores velint. Quam ob rem si de sacrorum alienatione dicendum putasti, quom de religione leges proposueras, faciendum tibi est ut magistratibus lege constitutis de potestatum iure disputes. | Attico:Dunque, pensi di non doverci dire nulla delle leggi del popolo romano, così come hai incominciato?Marco:Su questo argomento che cosa hai da chiedere?Attico:Io? quello appunto che ritengo vergognosissimo sia ignorato dagli uomini politici. Come infatti hai detto poco fa, che noi andiamo a chiedere le leggi ai copisti, così ho l'impressione che i più dei magistrati, per ignoranza delle norme giuridiche che li interessano, capiscono solo quel tanto che gli scrivani gli permettono. Per cui, se hai ritenuto opportuno parlare del passaggio delle cerimonie private, quando hai proposto le leggi sul culto, dovresti ora trovare il modo, dopo aver predisposto per legge le magistrature, di discorrere della giurisdizione delle singole autorità. |
In Q. Ligario conservando multis tu quidem gratum facies necessariis tuis, sed hoc, quaeso, considera, quod soles; possum fortissimos viros Sabinos tibi probatissimos totumque agrum Sabinum, florem Italiae ac robur rei publicae, proponere,—nosti optime homines—; animadverte horum omnium maestitiam et dolorem; huius T. Brocchi, de quo non dubito quid existimes, lacrimas squaloremque ipsius et fili vides. | Salvando Quinto Ligario tu farai, certo, piacere a molti tuoi amici, ma fa', ti prego, questa considerazione, com'è tua abitudine. Potrei farti sfilare dinanzi i Sabini , uomini di grande coraggio, che godono la tua massima stima, e persone d'ogni parte della Sabina, fiore d'Italia e nerbo dello Stato. Li conosci benissimo questi uomini. Guarda la tristezza ed il dolore di quanti tra essi sono qui; tu vedi le lacrime e lo squallido aspetto del qui presente Tito Brocco, del quale so bene quale stima tu abbia, e di suo figlio. |
Ac de bellicis quidem officiis satis dictum est. Meminerimus autem etiam adversus infimos iustitiam esse servandam. Est autem infima condicio et fortuna servorum, quibus non male praecipiunt, qui ita iubent uti, ut mercennariis, operam exigendam, iusta praebenda. Cum autem duobus modis, id est aut vi aut fraude, fiat iniuria, fraus quasi vulpeculae, vis leonis videtur; utrumque homine alienissimum, sed fraus odio digna maiore. Totius autem iniustitiae nulla capitalior quam eorum, qui tum, cum maxime fallunt, id agunt, ut viri boni esse videantur.De iustitia satis dictum. | Dobbiamo poi ricordare che anche verso le persone più umili si deve osservar la giustizia. E più umile d'ogni altra è la condizione e la sorte degli schiavi. Ottimo è il consiglio di coloro che raccomandano di valersi di essi come di lavoratori a mercede: si esiga buon lavoro, ma si dia la dovuta ricompensa. In due modi poi si può recare offesa: cioè con la violenza o con la frode; con la frode che è propria dell'astuta volpe e con la violenza che è propria del leone; indegnissime l'una e l'altra dell'uomo, ma la frode è assai più odiosa. Fra tutte le specie d'ingiustizia, però, la più detestabile è quella di coloro che, quando più ingannano, più cercano di apparir galantuomini. Ma basti per la prima parte della giustizia. |
Atticus:Locus certe non derit, quoniam tenes ordinem legum; tempus vero largitur longitudo diei. Ego autem, etiam si praeterieris, repetam a te istum de educatione et de disciplina locum.Marcus:Tu vero et istum Attice, et si quem alium praeteriero.'Ceteris specimen esto.' Quod si tenemus, <tenemus> omnia. Ut enim cupiditatibus principum et vitiis infici solet tota civitas, sic emendari et corrigi continentia. vir magnus et nobis omnibus amicus L.Lucullus ferebatur, quasi commodissime respondisset, cum esset obiecta magnificentia villae Tusculanae, duo se habere vicinos, superiorem equitem Romanum, inferiorem libertinum: quorum cum essent magnificae villae, concedi sibi oportere quod iis qui inferioris ordinis essent liceret. Non vides Luculle a te id ipsum natum ut illi cuperent quibus id si tu non faceres non liceret? | Attico:L'occasione certo non mancherà, poiché tu stai seguendo l'ordinata successione delle leggi; il tempo, poi, ce lo dà la lunghezza della giornata. Ed anche se ti passasse dalla mente, sarò io a rammentarti questo punto della educazione e della disciplina.Marco:E tu chiedimi liberamente, Attico, sia questo sia qualunque altro argomento su cui sarò passato oltre. "Sia di esempio agli altri". Se [abbiamo] questo, abbiamo tutto. Come infatti l'intera città è di solito contaminata dalle passioni e dai vizi dei principali esponenti, così essa viene risanata e corretta dal loro equilibrio. Si raccontava che quel grande uomo ed amico di noi tutti, L. Lucullo, al rimprovero che gli era stato mosso circa la magnificenza della sua villa di Tuscolo, avesse risposto molto garbatamente, di avere due vicini, un cavaliere romano quello di ceto più elevato, e un liberto di ceto inferiore; avendo costoro delle ville magnifiche, si doveva pur concedere a lui quanto era lecito a coloro che appartenevano ad una classe inferiore. Ma non vedi, Lucullo, che da te nacque appunto quel problema, cioè che essi desiderassero ciò che a loro non sarebbe stato lecito, se tu non l'avessi fatto? |
Optime autem societas hominum coniunctioque servabitur, si, ut quisque erit coniunctissimus, ita in eum benignitatis plurimum conferetur. Sed quae naturae principia sint communitatis et societatis humanae, repetendum videtur altius. Est enim primum quod cernitur in universi generis humani societate. Eius autem vinculum est ratio et oratio, quae docendo, discendo, communicando, disceptando, iudicando conciliat inter se homines coniungitque naturali quadam societate, neque ulla re longius absumus a natura ferarum, in quibus inesse fortitudinem saepe dicimus, ut in equis, in leonibus, iustitiam, aequitatem, bonitatem non dicimus; sunt enim rationis et orationis expertes. | Il miglior modo per mantener salda la società e la fratellanza umana è di usare maggior generosità verso chi ci è più strettamente congiunto. Ma conviene, io penso, risalire più indietro e mostrare quali siano i principi naturali che reggono l'umano consorzio. Il primo è quello che si scorge nella società dell'intero genere umano. La sua forza unificatrice è la ragione e la parola, che, insegnando e imparando, comunicando, discutendo, giudicando, affratella gli uomini tra loro e li congiunge in una specie di associazione naturale. Ed è questo il carattere che più ci allontana dalla natura delle bestie: noi diciamo spesso che nelle bestie c'è la forza - come nei cavalli e nei leoni -, ma non la giustizia, né l'equità, né la bontà; perché quelle son prive di ragione e di parola. |
CICERO ATTICO SAL.quam vellem Bruto studium tuum navare potuisses! ego igitur ad eum litteras. ad Dolabellam Tironem misi cum mandatis et litteris. eum ad te vocabis et si quid habebis quod placeat scribes. ecce autem de traverso L. Caesar ut veniam ad se rogat in nemus aut scribam quo se venire velim; Bruto enim placere se a me conveniri. O rem odiosam et inexplicabilem! puto me ergo iturum et inde Romam, nisi quid mutaro. summatim adhuc ad te; nihildum enim a Balbo.tuas igitur exspecto nec actorum solum sed etiam futurorum. | CICERONE AD ATTICOCome mi piacerebbe se avessi potuto tradurre in atto la tua simpatia per Bruto! Dunque io scrivo a lui. Homandato Tirone da Dolabella con un incarico specifico e una lettera. Lo farai poi venire da te e se avraiqualcosa che ti vada a genio, scrivimene. Ma ecco che inopinatamente Lu cio Cesare mi invita ad andare da luia Nemi o di fargli sapere con due righe dove desideri che venga invece lui: e che Bruto è d'accordo che noidue ci incontriamo... Che razza di odioso pasticcio! Perciò credo che andrò e poi di lì direttamente a Roma,salvo ripensamenti. Per adesso a te ancora una lettera sommaria, giacché finora niente da parte di Balbo.Dunque aspetto una tua, non solo di resoconto, ma anche di previsioni per il futuro. |
Ego vero propter sermonis delectationem tempestivis quoque conviviis delector, nec cum aequalibus solum, qui pauci admodum restant, sed cum vestra etiam aetate atque vobiscum, habeoque senectuti magnam gratiam, quae mihi sermonis aviditatem auxit, potionis et cibi sustulit. Quod si quem etiam ista delectant, (ne omnino bellum indixisse videar voluptati, cuius est fortasse quidam naturalis modus), non intellego ne in istis quidem ipsis voluptatibus carere sensu senectutem.Me vero et magisteria delectant a maioribus instituta et is sermo, qui more maiorum a summo adhibetur in poculo, et pocula, sicut in Symposio Xenophontis est, minuta atque rorantia, et refrigeratio aestate et vicissim aut sol aut ignis hibernus; quae quidem etiam in Sabinis persequi soleo, conviviumque vicinorum cotidie compleo, quod ad multam noctem quam maxime possumus vario sermone producimus. | In realtà, proprio per il piacere della conversazione amo anche i lunghi banchetti e non solamente in compagnia dei miei coetanei - ormai ne restano ben pochi -, ma anche delle persone della vostra età e di voi, e sono molto riconoscente alla vecchiaia di aver accresciuto in me il desiderio di conversare e di aver eliminato quello di mangiare e bere. Se poi c'è chi si diverte anche a mangiare e bere - non si pensi che ho dichiarato, senza mezzi termini, guerra al piacere, di cui forse esiste un limite naturale - credo che la vecchiaia, anche nei confronti di simili piaceri, non sia insensibile. A me, anzi, piacciono i magisteri conviviali, istituiti dagli antenati, e quel conversare con le coppe in mano che, secondo tradizione, parte dall'ospite d'onore, e mi piacciono le coppe, come nel Simposio di Senofonte, "piccole e stillanti", e il fresco d'estate e, al contrario, il sole o il fuoco d'inverno, tutte soddisfazioni che ho l'abitudine di prendermi in Sabina dove, ogni giorno, riempio di vicini il convito che prolunghiamo, più che si può, sino a notte fonda con discorsi di vario genere. |
Et quoniam huius generis facta mentio est, seditiosorum omnium post Gracchos L. Appuleius Saturninus eloquentissimus visus est: magis specie tamen et motu atque ipso amictu capiebat homines quam aut dicendi copia aut mediocritate prudentiae. longe aut em post natos homines improbissimus C. Servilius Glaucia, sed peracutus et callidus cum primisque ridiculus. is ex summis et fortunae et vitae sordibus in praetura consul factus esset, si rationem eius haberi licere iudicatum esset.nam et plebem tenebat et equestrem ordinem beneficio legis devinxerat. is praetor eodem die, quo Saturninus tribunus plebis, Mario et Flacco consulibus publice est interfectus; homo simillimus Atheniensis Hyperboli, cuius improbitatem veteres Atticorum comoediae notaverunt. | E giacché sì è fatta menzione di questa categoria, dopo i Gracchi il più eloquente di tutti i sediziosi parve essere Lucio Appuleio Saturnino: tuttavia egli avvinceva la gente più col suo aspetto, coi suo gestire e col suo modo di portare la toga, che con la ricchezza della sua eloquenza o con la sua modesta intelligenza politica. Ma di gran lunga il peggiore di tutti gli uomini da che mondo è mondo fu Gaio Servilio Glaucia, che tuttavia aveva un bell'acume, era scaltro, e dotato di un'eccellente capacità di muovere il riso. Nonostante le origini più abiette, e l'immensa abiezione della sua vita, costui sarebbe stato eletto console prima della fine della sua pretura, se la sua candidatura fosse stata giudicata accettabile. In fatti teneva la plebe nelle sue mani, e si era guadagnato l'ordine equestre con una legge che ne favoriva gli interessi." Quand'era pretore, venne ucciso, per disposizione della collettività, nello stesso giorno in cui venne analogamente ucciso Saturnino - il quale era in carica come tribuno della plebe -, sotto il consolato di Mario e Flacco. Quest'uomo rassomigliava parecchio all'ateniese Iperbolo, la cui ribalderia fu messa alla berlina dai poeti attici della commedia antica. |
Tum ipse L. Cotta est veterator habitus; sed C. Laelius et P. Africanus in primis eloquentes, quorum exstant orationes, ex quibus existumari de ingeniis oratorum potest. sed inter hos aetate paulum his antecedens sine controversia Ser. Galba eloquentia praestitit; et nimirum is princeps ex Latinis illa oratorum propria et quasi legituma opera tractavit, ut egrederetur a proposito ornandi causa, ut delectaret animos aut permoveret, ut augeret rem, ut miserationibus, ut communibus locis uteretur.sed nescio quomodo huius, quem constat eloquentia praestitisse, exiliores orationes sunt et redolentes magis antiquitatem quam aut Laeli <aut> Scipionis aut etiam ipsius Catonis; itaque exaruerunt, vix iam ut appareant. | All'epoca, questo stesso Lucio Cotta veniva considerato una vecchia volpe dei tribunali; ma Gaio Lelio e Publio Africano avevano fama di essere tra gli uomini più eloquenti: di loro restano alcune orazioni, in base alle quali ci si può fare un'idea del loro talento di oratori. Ma tra tutti costoro, incontrastatamente, primeggiò per eloquenza Servio Galba, che era un po' più avanti negli anni; difatti egli fu il primo tra i latini ad affrontare gli aspetti peculiari, e per così dire imprescindibili, del compito di un oratore: come allontanarsi dal tema principale al fine di abbellire il discorso, intrattenere piacevolmente gli ascoltatori o risvegliare le loro più profonde emozioni, dare enfasi alla propria materia, far ricorso a passaggi commoventi o ad argomentazioni di carattere generale. Ma, non so come, le orazioni di costui, di cui pure sappiamo che primeggiò per eloquenza, sono più gracili, e sanno più di vecchio, che non quelle di Lelio, o di Scipione, o persino dello stesso Catone; hanno così perduto la freschezza, che quasi non fanno più alcun effetto. |
Magnam autem partem clementi castigatione licet uti, gravitate tamen adiuncta, ut et severitas adhibeatur et contumelia repellatur, atque etiam illud ipsum, quod acerbitatis habet obiurgatio, significandum est ipsius id causa, qui obiurgetur, esse susceptum. Rectum est autem etiam in illis contentionibus, quae cum inimicissimis fiunt, etiam si nobis indigna audiamus, tamen gravitatem retinere, iracundiam pellere; quae enim cum aliqua perturbatione fiunt, ea nec constanter fieri possunt neque is, qui adsunt, probari.Deforme etiam est de se ipsum praedicare, falsa praesertim, et cum inrisione audientium imitari militem gloriosum. | Nella maggior parte dei casi basta fare un dolce rimprovero, non disgiunto da una certa sostenutezza, di modo che si adoperi la severità senza scendere fino all'offesa. E anche quel tanto di amaro che il rimprovero comporta, bisogna far capire che l'abbiamo adoperato per amor di colui che si rimprovera. E anche in quei contrasti, che sorgono tra noi e i nostri più fieri nemici, se pure ci accada di sentir cose indegne di noi, dobbiamo serbar tuttavia una dignitosa compostezza, reprimendo lo sdegno. Tutto ciò che si fa nell'impeto d'una passione, non può né rispettare la coerenza né ottenere lode dai presenti. Gran brutta cosa è anche il decantare i propri meriti, soprattutto non veri, e imitare il soldato millantatore, provocando le risa di chi ci ascolta. |
Orator metuo ne languescat senectute; est enim munus eius non ingeni solum, sed laterum etiam et virium. Omnino canorum illud in voce splendescit etiam nescio quo pacto in senectute, quod equidem adhuc non amisi, et videtis annos. Sed tamen est decorus seni sermo quietus et remissus, factique per se ipsa sibi audientiam diserti senis composita et mitis oratio. Quam si ipse exsequi nequeas, possis tamen Scipioni praecipere et Laelio. Quid enim est iucundius senectute stipata studiis iuventutis? | L'oratore, temo, perde vigore con la vecchiaia; la sua professione, infatti, non dipende solo dall'intelletto, ma anche dai polmoni e dalla forza fisica. È vero che la sonorità della voce continua a spiccare, non so come, anche in vecchiaia; io non l'ho ancora persa e vedete gli anni che ho. Tuttavia il conversare calmo e disteso si addice a un vecchio e i suoi discorsi eleganti e dolci si conciliano da soli l'attenzione del pubblico. Se non ci riuscissi più, potresti sempre fornire precetti a Scipione o a Lelio: infatti, cosa c'è di più bello di una vecchiaia circondata dal fervore dei giovani? |
Nec ei qui dicunt inmutabilia esse quae futura sint nec posse verum futurum convertere in falsum, fati necessitatem confirmant, sed verborum vim interpretantur. At qui introducunt causarum seriem sempiternam, ei mentem hominis voluntate libera spoliatam necessitate fati devinciunt. Sed haec hactenus; alia videamus. Concludit enim Chrysippus hoc modo: 'Si est motus sine causa, non omnis enuntiatio (quodaxiomadialectici appellant) aut vera aut falsa erit; causas enim efficientis quod non habebit, id nec verum nec falsum erit; omnis autem enuntiatio aut vera aut falsa est; motus ergo sine causa nullus est. | Chi sostiene, quindi, che gli eventi che si realizzeranno sono immutabili e nega la possibilità che il vero nel futuro si converta in falso, non dimostra la necessità del fato: non fa che rendere esplicito il significato racchiuso nelle parole. Chi, poi, introduce una serie eterna di cause, incatena alla necessità del fato l'anima degli uomini, spogliata del libero arbitrio. Su questo punto basta così; passiamo ad altro. Crisippo giunge alla seguente conclusione: "Se esiste un moto senza causa, non tutte le proposizioni, che i dialettici definiscono assiomi, saranno vere o false; quanto sarà privo di cause efficienti, non sarà né vero né falso; eppure, ogni proposizione è o vera o falsa; perciò non si dà moto senza una causa. |
Omnino si quicquam est decorum, nihil est profecto magis quam aequabilitas [cum] universae vitae, tum singularum actionum, quam conservare non possis, si aliorum naturam imitans, omittas tuam. Ut enim sermone eo debemus uti, qui innatus est nobis, ne, ut quidam, Graeca verba inculcantes iure optimo rideamur, sic in actiones omnemque vitam nullam discrepantiam conferre debemus. | In generale, se c'è al mondo cosa decorosa, nessuna certamente è tale più della coerenza, così nella vita intera come nelle singole azioni; coerenza che noi non potremmo conservare, se, imitando l'altrui natura, ci spogliassimo della nostra. Come noi dobbiamo far uso di quella lingua che ci è materna, per non essere giustamente derisi, come accade a taluni che vi inseriscono parole greche, così non dobbiamo introdurre alcuna dissonanza nelle nostre azioni e nella nostra vita. |
Sed utilitatum comparatio, quoniam hic locus erat quartus, a Panaetio praetermissus, saepe est necessaria. Nam et corporis commoda cum externis [et externa cum corporis] et ipsa inter se corporis et externa cum externis comparari solent. Cum externis corporis hoc modo comparantur, valere ut malis quam dives esse, [cum corporis externa hoc modo, dives esse potius quam maximis corporis viribus,] ipsa inter se corporis sic, ut bona valitudo voluptati anteponatur, vires celeritati, externorum autem, ut gloria divitiis, vectigalia urbana rusticis. | Ma il paragone tra due cose utili - poiché questo era il quarto punto, tralasciato da Panezio e spesso necessario: infatti si è soliti paragonare i vantaggi del corpo con quelli esterni [e gli esterni con quelli del corpo] e quelli stessi del corpo tra di loro, e gli esterni con gli esterni. Si paragonano i vantaggi fisici con quelli esterni, quando ci si chiede se si preferisce la salute alla ricchezza, [si paragonano quelli esterni coi corporali in questo modo, per vedere se è possibile esser ricchi piuttosto che avere una forza fisica grandissima] e quelli stessi fisici sì da anteporre la buona salute al piacere, la forza alla rapidità; ed infine il confronto degli esterni, così da anteporre la gloria alle ricchezze, le imposte delle città a quelle delle campagne. |
Nam etiam sine illius suffimentis expiati sumus. At vero scelerum in homines atque <in deos> inpietatum nulla expiatio est. Itaque poenas luunt, non tam iudiciis - quae quondam nusquam erant, hodie multifariam nulla sunt, ubi <sunt> tamen, persaepe falsa sunt - <a>t eos agitant insectanturque furiae, non ardentibus taedis sicut in fabulis, sed angore conscientiae fraudisque cruciatu. Quodsi homines ab iniuria poena, non natura arcere deberet, quaenam sollicitudo vexaret impios sublato suppliciorum metu? Quorum tamen nemo tam audax umquam fuit, quin aut abnuer<e>t a se commissum esse facinus, aut iusti sui doloris causam aliquam fingeret, defensionemque facinoris a naturae iure aliquo quaereret.Quae si appellare audent impii, quo tandem studio colentur a bonis? Quodsi poena, si metus supplicii, non ipsa turpitudo deterret ab iniuriosa facinerosaque vita, nemo est iniustus, a<t> incauti potius habendi sunt inprobi. | Infatti anche in ciò ci siamo purificati senza i suoi suffumigi; ma delle colpe contro gli uomini e delle empietà contro gli dèi non c'è espiazione che valga. Così ne pagano la pena non tanto con processi - che un tempo non esistevano neppure, oggi poi non esistono sotto molti aspetti, e là dove vi sono, sono assai spesso fittizi -, ma li perseguitano e li incalzano le furie non già con fiaccole ardenti, come nelle tragedie, ma con i rimorsi della coscienza ed il tormento della colpa. Se non fosse la natura, ma invece la pena a dover tenere gli uomini lontani dalla colpa, quale inquietudine tormenterebbe i malvagi una volta eliminato il timore della punizione? Eppure non vi fu mai tra quelle persone qualcuno tanto sfrontato da negare d'aver egli commesso una colpa o da inventare un pretesto qualsiasi per un suo legittimo risentimento oppure ricercare una difesa della sua colpa in qualche diritto naturale. Se a questo osano far ricorso i disonesti, con quale ardore non sarà allora rispettato dagli onesti? Che se la punizione, il terrore del supplizio, e non la vergogna in se stessa allontanasse dalla vita scellerata e colpevole, nessuno più sarebbe ingiusto, o meglio essi dovrebbero essere considerati piuttosto imprudenti che disonesti. |
Itemque magis est secundum naturam, pro omnibus gentibus, si fieri possit, conservandis aut iuvandis, maximos labores molestiasque suscipere imitantem Herculem illum, quem hominum fama beneficiorum memor in concilio caelestium conlocavit quam vivere in solitudine non modo sine ullis molestiis sed etiam in maximis voluptatibus, abundantem omnibus copiis, ut excellas etiam pulchritudine et viribus. Quocirca optimo quisque et splendidissimo ingenio longe illam vitam huic anteponit.Ex quo efficitur, hominem naturae oboedientem homini nocere non posse. | Allo stesso modo è più secondo natura, per conservare ed aiutare - se possibile - tutte le genti, sobbarcarsi le più grandi fatiche e disagi, ed imitare il famoso Ercole, che la fama degli uomini, memore dei benefici ricevuti, collocò nel consesso degli dei; è molto meglio, dunque, tutto questo che vivere in solitudine non solo senza alcun affanno, ma anche tra i più raffinati piaceri, ricchi di ogni sorta di beni, sì da eccellere anche in bellezza ed in forza. Perciò ogni persona fornita di un'indole assai nobile e superiore, preferisce di gran lunga quella vita a questa; da ciò si deduce che l'uomo che obbedisca alla natura non può nuocere ad un altro uomo. |
Indiciis eitis atque editis, Quirites, senatum consului, de summa re publica quid fieri placeret. Dictae sunt a principibus acerrimae ac fortissimae sententiae, quas senatus sine ulla varietate est secutus. Et quoniam nondum est perscriptum senatus consultum, ex memoria vobis, Quirites, quid senatus censuerit, exponam. | Messe a verbale e lette le deposizioni, Quiriti, ho chiesto al Senato che decisioni intendesse prendere nell'interesse dello Stato. I primi a intervenire si sono espressi con la massima durezza e la loro posizione è stata approvata all'unanimità dal Senato. Dal momento che non è stato ancora redatto il verbale, Quiriti, vi riporterò a memoria come si è svolta la seduta. |
Haec igitur Athenienses tui. Sed videamus Platonem, qui iusta funerum reicit ad interpretes religionum; quem nos morem tenemus. De sepulcris autem dicit haec: vetat ex agro culto, eove qui coli possit, ullam partem sumi sepulcro; sed quae natura agri tantum modo efficere possit, ut mortuorum corpora sine detrimento vivorum recipiat, ea potissimum ut conpleatur; quae autem terra fruges ferre et ut mater cibos suppeditare possit, eam ne quis nobis minuat neve vivos neve mortuos. | Queste le misure adottate dai tuoi Ateniesi. Ma vediamo Platone, che assegna le cerimonie funebri alla competenza dei ministri del culto, usanza che osserviamo anche noi. E, sui sepolcri, egli dice questo: è vietato riservare alla sepoltura una parte di terreno coltivato o coltivabile; ma soltanto quella parte, che per la natura del suolo possa accogliere i corpi dei morti senza detrimento per i vivi, questa sola venga pure riempita; mentre quella terra che può produrre raccolti e, come una madre, offrirci nutrimento, non deve esserci sottratta da nessuno, né vivo né morto. |
Quam ob rem si cadit in sapientem animi dolor, qui profecto cadit, nisi ex eius animo exstirpatam humanitatem arbitramur, quae causa est cur amicitiam funditus tollamus e vita, ne aliquas propter eam suscipiamus molestias? Quid enim interest motu animi sublato non dico inter pecudem et hominem, sed inter hominem et truncum aut saxum aut quidvis generis eiusdem? Neque enim sunt isti audiendi qui virtutem duram et quasi ferream esse quandam volunt; quae quidem est cum multis in rebus, tum in amicitia tenera atque tractabilis, ut et bonis amici quasi diffundatur et incommodis contrahatur.Quam ob rem angor iste, qui pro amico saepe capiendus est, non tantum valet ut tollat e vita amicitiam, non plus quam ut virtutes, quia non nullas curas et molestias adferunt, repudientur.Cum autem contrahat amicitiam, ut supra dixi, si qua significatio virtutis eluceat, ad quam se similis animus applicet et adiungat, id cum contigit, amor exoriatur necesse est. | Perciò, se anche l'animo del saggio è sensibile al dolore - e lo è di sicuro, se non vogliamo ammettere che gli è stata strappata l'umanità -, perché dovremmo sradicare dalla vita l'amicizia, per evitare di provar fastidi a causa sua? Se si elimina il sentimento, che differenza c'è non dico tra l'uomo e una bestia, ma tra l'uomo e un tronco o un sasso o qualcosa del genere? No, non bisogna dare ascolto a chi pretende che la virtù sia dura e, per così dire, di ferro, quando invece in molte circostanze, ma soprattutto nell'amicizia, è così tenera ed elastica da aprirsi, se posso esprimermi così, alla fortuna dell'amico e da chiudersi di fronte alle sue avversità. Ecco perché l'angoscia, che spesso si deve patire per un amico, non è così forte da escludere l'amicizia dalla vita, non più di quanto siamo disposti a rinunciare alle virtù perché comportano preoccupazioni e fastidi.Poiché quello che induce a stringere un rapporto di amicizia, come ho detto prima, è il balenare di qualche segno di virtù, che induce un animo affine ad accostarsi e legarsi ad essa, quando ciò accade, allora sorge inevitabile l'amore. |
Atticus:Non dubito id quidem. Sed hoc iam non ex te, Quinte, quaero, verum ex ipso poeta, tuine versus hanc quercum severint, an ita factum de Mario, ut scribis, acceperis.Marcus:Respondebo tibi equidem, sed non ante quam mihi tu ipse responderis, Attice, certen <non> longe a tuis aedibus inambulans post excessum suum Romulus Proculo Iulio dixerit se deum esse et Quirinum vocari templumque sibi dedicari in eo loco iusserit, et verumne sit <ut> Athenis non longe item a tua illa antiqua domo Orithyiam Aquilo sustulerit; sic enim est traditum. | Attico:Non ne dubito affatto; ma questo non lo chiedo a te uomo, Quinto, ma a te come poeta, se davvero i tuoi versi abbiano contribuito a piantare questa quercia, ovvero se tu abbia avuto notizia che ciò fu fatto da Mario, come è scritto.Marco:Ti risponderò, Attico, ma non prima che tu mi abbia risposto se sia certo che, passeggiando non lontano dalla tua casa dopo la propria morte, Romolo abbia detto a Giulio Proculo di essere un dio e di chiamarsi Quirino e che abbia ordinato di dedicargli un tempio in quel luogo, e se sia vero che ad Atene, proprio lì, non lontano da quella tua vecchia casa, Aquilone abbia rapito Orizia; è questo che si racconta. |
Propensior benignitas esse debebit in calamitosos, nisi forte erunt digni calamitate. In iis tamen, qui se adiuvari volent, non ne adfligantur, sed ut altiorem gradum ascendant, restricti omnino esse nullo modo debemus, sed in deligendis idoneis iudicium et diligentiam adhibere. Nam praeclare Ennius:Bene facta male locata male facta arbitror. | La beneficenza dovrà essere più sollecita verso i disgraziati, a meno che non saranno degni per caso della loro disgrazia. Tuttavia verso quelli che vogliono essere aiutati, non per evitare la rovina, ma per ascendere ad un grado superiore, non dobbiamo essere in alcun modo avari, ma dobbiamo usare un oculato giudizio nella scelta degli uomini capaci. Assai saggiamente dice Ennio:Giudico malefici i benefici mal collocati. |
Eademque natura vi rationis hominem conciliat homini et ad orationis et ad vitae societatem ingeneratque inprimis praecipuum quendam amorem in eos, qui procreati sunt impellitque, ut hominum coetus et celebrationes et esse et a se obiri velit ob easque causas studeat parare ea, quae suppeditent ad cultum et ad victum, nec sibi soli, sed coniugi, liberis, ceterisque quos caros habeat tuerique debeat, quae cura exsuscitat etiam animos et maiores ad rem gerendam facit. | Oltre a ciò la natura, con la forza della ragione, concilia l'uomo all'uomo in una comunione di linguaggio e di vita; soprattutto genera in lui un singolare e meraviglioso amore per le proprie creature; spinge la sua volontà a creare e a godere associazioni e comunità umane, e sollecita le sue energie a procacciarsi tutto ciò che occorre al sostentamento e al miglioramento della vita, non solo per sé, ma anche per la moglie, per i figli e per tutti gli altri a cui porta affetto e a cui deve protezione. Ed è appunto questa sollecitudine che rinfranca lo spirito e lo fa più forte e più pronto all'azione. |
Huius vis ea est, ut ab honesto non queat separari; nam et quod decet honestum est et quod honestum est decet. qualis autem differentia sit honesti et decori, facilius intellegi quam explanari potest. quicquid est enim, quod deceat, id tum apparet, cum antegressa est honestas. Itaque non solum in hac parte honestatis, de qua hoc loco disserendum est, sed etiam in tribus superioribus quid deceat apparet. Nam et ratione uti atque oratione prudenter et agere quod agas considerate omnique in re quid sit veri videre et tueri decet, contraque falli, errare, labi, decipi tam dedecet quam delirare et mente esse captum; et iusta omnia decora sunt, iniusta contra, ut turpia, sic indecora.Similis est ratio fortitudinis. quod enim viriliter animoque magno fit, id dignum viro et decorum videtur, quod contra, id ut turpe sic indecorum. | Essa è tale per sua natura che non può separarsi dall'onesto: poiché ciò che è decoroso è onesto e ciò che è onesto è decoroso; e la differenza che passa tra l'onestà e il decoro, è più facile a intendere che a spiegare. In verità, tutto ciò che ha il carattere del decoro, non appare se non quando lo precede l'onestà. Ecco perché, non solo in questa parte dell'onestà, della quale dobbiamo ora trattare, ma anche nelle tre precedenti si manifesta il decoro. Il sapiente uso della ragione e della parola, il meditare ogni azione, e in ogni cosa cercare e osservare la verità, e ad essa attenersi, è decoroso, mentre al contrario l'ingannarsi e l'errare, il cadere in fallo e il lasciarsi raggirare è altrettanto indecoroso quanto l'uscir di strada e uscire di senno; e così ogni azione giusta è decorosa, e ogni azione ingiusta, com'è disonesta, così è anche indecorosa. Allo stesso modo si comporta la fortezza: tutte le azioni generosi e magnanime appaiono degne dell'uomo e decorose: le azioni contrarie, invece, come sono disoneste, così offendono il decoro. |
Itaque ei mihi videntur fortunate beateque vixisse cum in ceteris civitatibus tum maxume in nostra, quibus cum auctoritate rerumque gestarum gloria tum etiam sapientiae laude perfrui licuit. quorum memoria et recordatio in maxumis nostris gravissimisque curis iucunda sane fuit, cum in eam nuper ex sermone quodam incidissemus. | Perciò io ritengo che siano vissuti in maniera fortunata e felice, nelle altre città e specialmente nella nostra, coloro ai quali fu concesso di godere appieno sia dell'autorità e della gloria delle gesta compiute, sia dell'onore tributato alla lo ro saggezza; richiamarli alla memoria, e rammentarli, in mezzo alle mie più grandi e più gravi preoccupazioni, mi fu davvero gradito, quando, or non è molto, una conversazione mi portò a imbattermi in questo argomento. |
21. «Quin etiam si cupiat proles illa futurorum hominum deinceps laudes unius cuiuisque nostrum a patribus acceptus posteris prodere, tamen propter eluviones exustionesque terrarum, quas accidere tempore certo nocesse est, non modo non aeternam, sed ne diuturnam quidam gloriam adsequi possumus. Quid autem interest ab iis qui postea nascerentur sermonem fore de te, cum ab iis nullus fuerit qui ante te nati sunt (qui nec pauciores et certe meliores fuerunt viri)?» | 21. “E anzi, se quella discendenza che verrà degli uomini futuri volesse tramandare ai posteri le lodi di ciascuno di noi tramandate dai padri, tuttavia a causa di alluvioni e incendi della terra – che è inevitabile che avvengano entro un termine stabilito – non possiamo perseguire alcuna gloria non solo non eterna ma neppure di lunga durata. D’altra parte, che cosa importa che i posteri parlino di te dal momento che non hanno parlato di te quelli che nacquero prima di te (e che furono non meno numerosi e furono uomini certamente migliori)?” |
Nec unum genus est divinationis publice privatimque celebratum. Nam, ut omittam ceteros populos, noster quam multa genera complexus est! Principio huius urbis parens Romulus non solum auspicato urbem condidisse, sed ipse etiam optumus augur fuisse traditur. Deinde auguribus et reliqui reges usi, et exactis regibus nihil publice sine auspiciis nec domi nec militiae gerebatur. Cumque magna vis videretur esse et impetriendis consulendisque rebus et monstris interpretandis ac procurandis in haruspicum disciplina, omnem hanc ex Etruria scientiam adhibebant, ne genus esset ullum divinationis quod neglectum ab iis videretur.Et cum duobus modis animi sine ratione et scientia motu ipsi suo soluto et libero incitarentur, uno furente, altero somniante, furoris divinationem Sibyllinis maxime versibus contineri arbitrati eorum decem interpretes delectos e civitate esse voluerunt. Ex quo genere saepe hariolorum etiam et vatum furibundas praedictiones, ut Octaviano bello Corneli Culleoli, audiendas putaverunt. Nec vero somnia graviora, si quae ad rem publicam pertinere visa sunt, a summo consilio neglecta sunt. Quin etiam memoria nostra templum Iunonis Sospitae L. Iulius, qui cum P. Rutilio consul fuit, de senatus sententia refecit ex Caeciliae, Baliarici filiae, somnio. | Né è stato praticato un solo genere di divinazione, sia per affari di Stato sia per prendere decisioni private. Anche a prescindere dagli altri popoli, il nostro a quanti tipi di divinazione è ricorso! Innanzi tutto il padre della nostra città, Romolo, non solo fondò Roma dopo aver preso gli auspicii, ma, a quanto si narra, fu egli stesso un ottimo àugure. Dopo di lui, gli altri re consultarono sempre gli àuguri; e dopo la cacciata dei re nessuna decisione riguardante lo Stato, in pace come in guerra, si prendeva senza essere prima ricorsi agli auspicii. E siccome credevano che la scienza degli arùspici avesse grande importanza sia nel cercar di ottenere buoni eventi e nel ricevere buoni consigli, sia nell'interpretare i prodìgi e nello stornare con espiazioni la loro forza malefica, attingevano tutta questa dottrina dall'Etruria, perché nessun genere di divinazione venisse trascurato. E poiché le anime umane, quando non le governano la ragione e il sapere, sono eccitate spontaneamente in due modi, negli accessi di follìa e nei sogni, i nostri antenati, ritenendo che la divinazione manifestantesi nella follìa fosse interpretata soprattutto nei versi sibillini, istituirono un collegio di dieci interpreti di tali libri, scelti fra i cittadini. Riguardo a questo genere di divinazione, credettero spesso di dover dare ascolto anche alle profezie gridate in stato di esaltazione dagl'indovini e dai vati: per esempio, a quelle di Cornelio Culleolo nella guerra di Gneo Ottavio contro Cinna. Né il sommo consesso, il senato, trascurò i sogni, se per la loro importanza sembravano necessari a prender decisioni riguardanti lo Stato. Ancora ai nostri tempi Lucio Giulio, console insieme con Publio Rutilio, per decreto del senato restaurò il tempio di Giunone Sòspita in séguito a un sogno di Cecilia, figlia di Cecilio Baliarico. |
Sequitur enim: 'Eius decreta rata sunto.' Nam ita se res habet, ut si senatus dominus sit publici consilii, quodque is creverit defendant omnes, et si ordines reliqui principis ordinis consilio rem publicam gubernari velint, possit ex temperatione iuris, cum potestas in populo, auctoritas in senatu sit, teneri ille moderatus et concors civitatis status, praesertim si proximae legi parebitur; nam proximum est: 'Is ordo vitio careto, ceteris specimen esto.'Quintus:Praeclara vero frater ista lex, sed et late patet ut vitio careat ordo, et censorem quaerit interpretem. | Essa infatti aggiunge: "I suoi decreti siano irrevocabili". Infatti le cose stanno in questi termini, cioè, se il senato è arbitro delle pubbliche decisioni, tutti sostengano quanto esso ha stabilito, e se le altre classi vogliono che lo Stato sia governato dal consiglio di questa classe di ottimati, è possibile, mediante il giusto equilibrio dei diritti, risiedendo il potere nel popolo e l'autorità nel senato, mantenere lo Stato in condizioni di normalità e di concordia, soprattutto se viene osservata la legge successiva, la quale afferma: "Questo ordine sia esente da difetti, sia di esempio agli altri".Quinto:Davvero magnifica, questa legge, fratello, ma è anche del tutto chiaro che quest'ordine sia del tutto esente da difetti, ed inoltre esige l'intervento del censore per la sua interpretazione. |
Quod cum omnibus est faciendum, qui vitam honestam ingredi cogitant, tum haud scio an nemini potius quam tibi. Sustines enim non parvam expectationem imitandae industriae nostrae, magnam honorum, non nullam fortasse nominis. Suscepisti onus praeterea grave et Athenarum et Cratippi; ad quos cum tamquam ad mercaturam bonarum artium sis profectus, inanem redire turpissimum est dedecorantem et urbis auctoritatem et magistri. Quare quantum coniti animo potes, quantum labore contendere, si discendi labor est potius quam voluptas, tantum fac ut efficias neve committas, ut, cum omnia suppeditata sint a nobis, tute tibi defuisse videare.Sed haec hactenus; multa enim saepe ad te cohortandi gratia scripsimus; nunc ad reliquam partem propositae divisionis revertamur. | Tutti coloro che pensano d'iniziare una vita onesta, debbono far questo, e non so se qualcuno lo debba più di te; tu ti sei sobbarcata la non piccola responsabilità dell'imitazione della mia attività, il grande impegno di imitare la mia carriera e la non lieve incombenza di imitare, forse, la mia gloria. Inoltre ti sei addossato un grave peso nei riguardi di Atene e di Cratippo; e poiché sei partito alla loro volta come verso un mercato di buone arti, sarebbe assai vergognoso ritornare a mani vuote, recando disonore al prestigio della città e del maestro. Perciò con quanto impegno intellettuale puoi, con quanti sforzi ti adoperi - anche se quella di apprendere è una fatica piuttosto che un piacere - fa in modo di riuscire e non metterti nelle condizioni di sembrare d'aver mancato a te stesso, dopo che io ti ho fornito ogni mezzo. Ma su ciò, basta; infatti molto frequentemente ti ho scritto per esortarti; ora ritorno all'ultima parte della divisione programmata. |
Quid de fratribus dicam? Noli, Caesar, putare, de unius capite nos agere; aut tres Ligarii retinendi tibi in civitate sunt aut tres ex civitate exterminandi. Quodvis exsilium his est optatius quam patria, quam domus, quam di penates uno illo exsulante. Si fraterne, si pie, si cum dolore faciunt, moveant te horum lacrimae, moveat germanitas; valeat tua vox illa, quae vicit. Te enim dicere audiebamus nos omnis adversarios putare nisi qui nobiscum essent, te omnis qui contra te non essent tuos.Videsne igitur hunc splendorem omnem, hanc Brocchorum domum, hunc L. Marcium, C. Caesetium, L. Corfidium, hos omnis equites Romanos, qui adsunt veste mutata, non solum notos tibi, verum etiam probatos viros? Atque his irascebamur, hos requirebamus, his non nulli etiam minabantur. Conserva igitur tuis suos ut, quem ad modum cetera quae dicta sunt a te, sic hoc verissimum reperiatur. | Che dirò dei fratelli? Non credere, o Cesare che noi stiamo trattando della sorte di uno solo: o tutti e tre i Ligari devono essere mantenuti tra i cittadini o tutti e tre espulsi. Qualunque esilio è per essi preferibile alla patria, alla casa, agli dèi penati qualora quello solo resti esule. Se essi agiscono per affetto fraterno, mossi da vero dolore, làsciati commuovere dalle loro lacrime e dalla loro pietà fraterna; torni ad aver valore quella tua dichiarazione, che favorì la tua vittoria. Ci giungevano, infatti, all'orecchio, queste tue parole: che noi giudicavamo nemici tutti quelli che non erano con noi; tu giudicavi tuoi amici tutti quelli che non erano contro di te. Guarda, dunque, tutti gli illustri, personaggi qui presenti, la famiglia dei Brocchi, Lucio Marcio, Gaio Cesezio, Lucio Coifidio, tutti i cavalieri romani che sono qui in veste mutata, uomini che tu non solo conosci ma anche apprezzi. Noi, invece, con questi eravamo in collera, reclamavamo la loro presenza nelle nostre file, alcuni di noi arrivavano anche a minacciarli. Conserva, dunque, ai tuoi amici i loro congiunti, sicché anche questa, come tutte le altre tue parole, risulti del tutto rispondente a verità. |
Summa quidem auctoritate philosophi severe sane atque honeste haec tria genera confusa cogitatione distinguunt: quicquid enim iustum sit, id etiam utile esse censent, itemque quod honestum, idem iustum, ex quo efficitur, ut, quicquid honestum sit, idem sit utile. Quod qui parum perspiciunt, ii saepe versutos homines et callidos admirantes, malitiam sapientiam iudicant. Quorum error eripiendus est opinioque omnis ad eam spem traducenda, ut honestis consiliis iustisque factis, non fraude et malitia se intellegant ea, quae velint, consequi posse. | Certo i filosofi, con la loro grandissima autorità, distinguono in astratto, con rigore ed onestà, queste tre categorie confuse (nella realtà): qualsiasi cosa, difatti, sia giusta, pensano che sia anche utile, e allo stesso modo ciò che è onesto anche giusto; da ciò si deduce che qualsiasi cosa sia onesta è anche utile. Coloro che comprendono poco le distinzioni filosofiche, grandi ammiratori degli uomini astuti e furbi, giudicano la furberia come sapienza. L'errore di costoro deve essere estirpato ed ogni opinione si deve rivolgere alla speranza di far loro comprendere che essi possono conseguire ciò che vogliono, con intenti onesti e con azioni giuste, non con l'inganno e la malizia. |
Nunc quoniam, Quirites, consceleratissimi periculosissimique belli nefarios duces captos iam et comprehensos tenetis, existumare debetis omnis Catilinae copias, omnis spes atque opes his depulsis urbis periculis concidisse. Quem quidem ego cum ex urbe pellebam, hoc providebam animo, Quirites, remoto Catilina non mihi esse P. Lentuli somnum nec L. Cassi adipes nec C. Cethegi furiosam temeritatem pertimescendam. Ille erat unus timendus ex istis omnibus, sed tam diu, dum urbis moenibus continebatur.Omnia norat, omnium aditus tenebat; appellare, temptare, sollicitare poterat, audebat. Erat ei consilium ad facinus aptum, consilio autem neque manus neque lingua deerat. Iam ad certas res conficiendas certos homines delectos ac descriptos habebat. Neque vero, cum aliquid mandarat, confectum putabat; nihil erat, quod non ipse obiret, occurreret, vigilaret, laboraret; frigus, sitim, famem ferre poterat. | Ora che avete catturato e messo agli arresti gli ignobili capi della più scellerata e pericolosa delle guerre, potete convincervi, Quiriti, che tutte le truppe di Catilina, tutte le sue speranze e risorse sono crollate, una volta rimossi questi pericoli della città. Quando lo cacciavo da Roma, prevedevo, Quiriti, che con Catilina lontano non avrei dovuto temere quell'infingardo di Lentulo o quel grassone di Cassio o quel pazzo temerario di Cetego. Tra tutti questi solo Catilina dovevamo temere, ma finché fosse rimasto dentro le mura cittadine. Conosceva tutto. Si insinuava ovunque. Sapeva chiamare a sé, tentare, corrompere e osava farlo. Per indole era portato al male e all'indole univa la forza e l'eloquenza. Disponeva di uomini fidati, selezionati per missioni speciali. Se affidava un incarico ad altri, lo considerava come non attuato: non c'era niente cui non intervenisse direttamente, cui non fosse presente, cui non vigilasse senza risparmio. Sapeva sopportare il freddo, la sete, la fame. |
Atticus:Suade igitur si placet istam ipsam legem, ut ego 'ut ei tu rogas' possim dicere.Marcus:Ain tandem Attice? Non es dicturus aliter?Atticus:Prorsus maiorem quidem rem nullam sciscam aliter, in minoribus si voles remittam hoc tibi.Quintus:Atque mea quidem <eadem> sententia est.Marcus:At ne longum fiat videte.Atticus:Utinam quidem! Quid enim agere malimus?Marcus:Caste iubet lex adire ad deos, animo videlicet in quo sunt omnia; nec tollit castimoniam corporis, sed hoc oportet intellegi, quom multum animus corpori praestet, observeturque ut casto corpore adeatur, multo esse in animis id servandum magis.Nam illud vel aspersione aquae vel dierum numero tollitur, animi labes nec diuturnitate evanescere nec amnibus ullis elui potest. | Attico:Illustra dunque, se credi, proprio codesta legge, affinché io possa pronunziare il "Sia come proponi".Marco:Questo tu dici? Non hai intenzione di dire qualcosa di diverso, Attico?Attico:Certamente non mi pronunzierò mai diversamente sulle questioni più importanti, ed in quelle di minor importanza, se vuoi, mi rimetterò a te.Quinto:Sono anch'io dello [stesso] avviso.Marco:Ma badate che non diventi cosa lunga.Attico:Magari fosse così! Che cosa infatti potremmo preferire di fare?Marco:La legge ordina di accostarsi con purezza agli dèi, purezza d'animo naturalmente, poiché in essa tutto è compreso; non esclude però la purezza del corpo, ma occorre che si capisca questo, cioè che, essendo l'anima considerata superiore al corpo, se ci si deve presentare con purezza di corpo, questo principio sarebbe molto più necessario osservarlo nell'anima. Quello infatti può essere purificato o con lustrazioni o col trascorrere di un certo numero di giorni; ma la macchia dell'anima non può né svanire col tempo né detergersi con l' acqua di un fiume. |
Haec enim ipsa sunt honorabilia quae videntur levia atque communia, salutari, adpeti, decedi, adsurgi, deduci, reduci, consuli; quae et apud nos et in aliis civitatibus, ut quaeque optime morata est, ita diligentissime observantur. Lysandrum Lacedaemonium, cuius modo feci mentionem, dicere aiunt solitum Lacedaemonem esse honestissimum domicilium senectutis: nusquam enim tantum tribuitur aetati, nusquam est senectus honoratior. Quin etiam memoriae proditum est, cum Athenis ludis quidam in theatrum grandis natu venisset, magno consessu locum nusquam ei datum a suis civibus; cum autem ad Lacedaemonios accessisset, qui legati cum essent, certo in loco consederant, consurrexisse omnes illi dicuntur et senem sessum recepisse. | Sono infatti un'attestazione di rispetto gesti in apparenza insignificanti e comuni come ricevere il saluto, essere cercati, vedere che ti cedono il passo o che si alzano in piedi, essere accompagnati e riaccompagnati, essere consultati, abitudini che da noi e in altri paesi si osservano con tanto più riguardo quanto più i costumi sono giusti. Dicono che lo spartano Lisandro, di cui ho appena fatto menzione, ripetesse che Sparta era la più nobile dimora degli anziani: in nessun altro paese, infatti, si dà tanta importanza all'età, in nessun altro paese la vecchiaia riceve più onori. Anzi, a proposito, si tramanda un episodio. Ad Atene, in occasione dei giochi, un uomo di una certa età era entrato nel teatro gremito di folla, ma i suoi concittadini non gli lasciarono il posto in nessun settore. Quando si avvicinò agli Spartani, che, in qualità di ambasciatori, sedevano in posti riservati, si alzarono tutti, così si racconta, e lo fecero sedere tra di loro. |
Ego sum ille consul, patres conscripti, cui non forum, in quo omnis aequitas continetur, non campus consularibus auspiciis consecratus, non curia, summum auxilium omnium gentium, non domus, commune perfugium, non lectus ad quietem datus, non denique haec sedes honoris [sella curulis] umquam vacua mortis periculo atque insidiis fuit. Ego multa tacui, multa pertuli, multa concessi, multa meo quodam dolore in vestro timore sanavi. Nunc si hunc exitum consulatus mei di inmortales esse voluerunt, ut vos populumque Romanum ex caede miserrima, coniuges liberosque vestros virginesque Vestales ex acerbissima vexatione, templa atque delubra, hanc pulcherrimam patriam omnium nostrum ex foedissima flamma, totam Italiam ex bello et vastitate eriperem, quaecumque mihi uni proponetur fortuna, subeatur.Etenim, si P. Lentulus suum nomen inductus a vatibus fatale ad perniciem rei publicae fore putavit, cur ego non laeter meum consulatum ad salutem populi Romani prope fatalem extitisse? | Io, padri coscritti, sono quel console per il quale né il Foro, sede suprema della giustizia, né il Campo Marzio, consacrato dagli auspici consolari, né la Curia, protezione sovrana di tutti i popoli, né la casa, rifugio di ogni essere umano, né il letto, destinato al riposo, e neppure, infine, questa [sedia curule] prerogativa della mia carica, sono stati mai esenti da pericoli e da insidie mortali. Ho taciuto molto. Ho sopportato molto. Ho concesso molto. Ho risanato molto col mio dolore, mentre voi vivevate nella paura. Ora, se gli dèi immortali hanno voluto che portassi a termine il consolato strappando voi e il popolo romano a un orrendo massacro, le vostre mogli, i vostri figli e le vergini Vestali a oltraggi inauditi, i templi, i santuari e questa nostra patria bellissima alle fiamme più deleterie, l'Italia intera alle devastazioni della guerra, ebbene, affronterò tutto quel che la sorte vorrà riservarmi! Se infatti Publio Lentulo, credendo ai vati, ha ritenuto che il suo nome fosse predestinato alla rovina dello Stato, perché non dovrei compiacermi del fatto che il mio consolato sia stato, per così dire, predestinato alla salvezza del popolo romano? |
Ante hunc enim verborum quasi structura et quaedam ad numerum conclusio nulla erat; aut, si quando erat, non apparebat eam dedita opera esse quaesitam—quae forsitan laus sit —; verum tamen natura magis tum casuque nonnunquam, quam aut ratione aliqua aut ulla observatione fiebat. | Prima di lui infatti non vi era né quella che si potrebbe chiamare una strutturazione delle parole, né una chiusa ritmica delle frasi; o, se talvolta la si poteva trovare, non appariva ricercata di proposito - il che potrebbe forse essere un pregio; tuttavia spesso nasceva più da un istinto naturale e dal caso, che da un metodo scientifico o dal rispetto di un qualche principio. |